La concezione del Paesaggio in questi due secoli particolari

Il Seicento è il secolo in cui il paesaggio attinge, finalmente, la sua autonomia di genere. Abbiamo già citato la lunetta della Fuga in Egitto di Annibale Carraci e quest’opera l’abbiamo indicata come esempio della prevalenza significativa con cui l’ambientazione paesaggistica si distende sul tema che dovrebbe costituire, in realtà, l’intento contenutistico primario, il racconto evangelico dell’allontanamento della Sacra Famiglia dal contesto della Palestina per sfuggire al clima di repressione e di odio che insidia finanche le tenere ed innocenti figure dei bambini.

Ma è con Caravaggio che il paesaggio si trasforma da ‘sfondo’ – per quanto prevalente sulla scena (come nel caso indicato di Annibale Carracci) o subordinato ad essa (come era stato durante tutta l’età rinascimentale) – in momento centrale e consustanziale dell’unità significativa dei contenuti figurativi.

Citeremo, in proposito, almeno tre opere del Caravaggio particolarmente significative: Le sette opere di Misericordia di Napoli, la Decollazione del Battista di Malta e il Seppellimento di Santa Lucia in Sicilia a Siracusa. In queste opere, il paesaggio è ambientazione e concorre a segnare coi suoi colori, con le sue luci, non ‘un’ semplice contesto ambientale, ma il momento centrale e drammatico della scena nella quale l’artista fa immergere il fruitore.

E se, in Caravaggio, la restituzione ambientale è finalizzata alla esaltazione del dramma umano nella dimensione epica delle sue più alte passioni, sarà compito d’un altro grande protagonista del Seicento, Micco Spadaro, di fornire della restituzione ambientale una descrizione puntuale e minuta, filologicamente ineccepibile, che vale non come mera descrizione di sfondo, ma come notazione d’un contesto ambientale raffigurato nel momento saliente d’un evento di ampio coinvolgimento collettivo e sociale, di cui il pennello dell’artista trascrive con scrupolosa acribia il darsi epocale, che sia esso la Rivolta popolare ai tempi di Masaniello o L’Eruzione del Vesuvio.

Fino a Caravaggio, tenteremmo di dire, il fruitore è stato tenuto ‘fuori’ dell’opera; Caravaggio, ma anche la pittura ‘naturalistica’ dello Spadaro, senza sconti, né buone maniere, ghermiscono il fruitore e lo sospingono all’interno stesso dello le opere. Il paesaggio non può essere più, quindi, mera ambientazione spaziale o, peggio, sfondo inerte ed accessorio, ma deve diventare il luogo reale in cui si consuma un dramma esistenziale, individuale o collettivo, poco importa, al quale lo spettatore è stato – come può dirsi espressione raccolta dal gergo teatrale – ‘ammesso in scena.

Ma il Seicento è anche il secolo in cui si afferma la concezione d’un teatro moderno, e la scenografia offrirà molti spunti alle dinamiche paesaggistiche, contribuendo a far assumere al genere una sua propria autonomia figurativa. Ritroveremo, peraltro, la fioritura di una produzione paesaggistica che, quasi riprendendo idealmente le logiche dell’antica ‘veduta nilotica’ di cui, peraltro in quel periodo non poteva aversi nozione filologica del dato, dà corpo ad un paesaggio del tutto immaginario, assolutamente sganciato dalla raffigurazione d’un ambiente reale.

Questo tipo di paesaggio può essere quello che propone temi di architetture fantastiche, come faranno artisti come François de Nomé o Didier Barra, ma anche vedute di rovine antiche o incroci di fantasia e realtà, come avverrà per artisti come Viviano Codazzi. Con il Settecento, il paesaggio accentua le sue caratteristiche di genere autonomo e si afferma una grande fioritura di ‘variazioni’ sul tema.

Il paesaggio si concretizza nella veduta canalettiana, che poi si raccoglierà nelle peculiarità del paesaggio inglese, ma si fa anche esuberanza creativa negli ‘sfondati’ architettonici che decorano con una nuova accezione della pittura ‘quadraturistica’ le volte delle chiese d’architettura rococo nel corso del secolo.

È una pittura, questa, che raccoglie l’eredità della grande decorazione seicentesca, dal Gaulli al Cortona, al Giordano, offrendo il destro ad autori come il Solimena, ad esempio, di lanciarsi in ardite proiezioni creative e ad altri artisti, tra cui ci piace additare il poco conosciuto, ma a nostro giudizio, onesto Angelo Mozzillo, di produrre una pittura di sintesi – e non, quindi, di mero eclettismo – in cui, nello scorcio della seconda metà del Settecento ed alla vigilia dell’età romantica, si coniugano in fertile unità motivi propri dell’esuberanza rocaille con i rigori di una disciplina classistica, sull’orizzonte figurativo di un’esigenza figurativa che, al di là dell’intento decorativo, sappia anche dare un volto ed una rappresentazione autonomamente rilevante al dato oggettivo delle realtà e delle consistenze spaziali ed ambientali.

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