Quello tra il paesaggio e la storia è un rapporto articolato

È un rapporto articolato quello che si stabilisce tra la storia ed il paesaggio, dal momento che, in molti casi, il paesaggio è la sua stessa storia, giacché non è immaginabile la fissità immobile d’un contesto ambientale e territoriale nel corso del tempo. La pittura di passaggio descrive, pertanto, molto bene la storia della realtà dei luoghi, fissandone i momenti salienti e dando di essi una puntuale trascrizione artistica.

Ad esempio, proprio in relazione alla capacità descrittiva ne corso del tempo che l’abbrivio della restituzione figurativa paesaggistica sa assumere di un contesto ambientale, abbiamo l’opportunità di additare una consecutio d’opere che, distendendosi dalla metà de ‘400, fino alla soglia dell’800, descrivono la ‘veduta’ di Napoli dal mare, fornendo della città partenopea una serie di ‘istantanee’ che descrivono il profilo della città – più ancora che il suo semplice sky line – con una sostanziale costanza di punto di vista, ma anche con una puntuale attenzione ai rivolgimenti d’assetto che lo scorrere del tempo ha fatalmente determinato.

Ecco, allora, che dalla Tavola Strozzi, opera di ignoto della seconda metà del ‘400 (ma, secondo noi, Francesco Pagano) passiamo alla Veduta di Napoli dal mare di Palomares del Campo (anch’essa opera di Ignoto e che noi tenderemmo a datare intorno al 1580), preceduta, forse, d’un soffio, dalla Veduta del Golfo di Napoli (Roma, galleria Doria) di Pieter Brueghel della metà del ‘500.

Introduciamo, poi, la Veduta della Darsena di Napoli di Gaspar van Wittel del 1711 (Torino, galleria Sabauda ed altra tradizione, Napoli, San Martino) che restringe la prospettiva, ravvicinando ed abbassando il punto di vista, mentre con la Veduta della città sullo sfondo della partenza di Carlo III per la Spagna eseguita da Antonio Joli per commemorare l’evento dell’assunzione da parte del sovrano di Napoli della corona di Spagna del 1759 ritorniamo alle logiche della veduta dal mare della città inaugurate già dalla Tavola Strozzi.

Di questa stessa inquadratura della città con una prospettiva dal punto di vista, molto più elevato, aveva fornito prova, peraltro, anche Didier Barra, in una Veduta di Napoli (Napoli di San Martino) che si colloca nella prima metà del ‘600, probabilmente, entro gli anni ’40. Da questa tela del Barra, dipende anche un altro dipinto di Ignoto (Veduta di Napoli, di collezione De Marinis, Firenze), che propone il solito panorama di Napoli visto dal mare, ma con un punto di vista più basso rispetto a quello del Barra.

Di qualche decennio successivo – intorno agli anni ‘60/70 del ‘600 – sono, infine, due altri dipinti, il primo firmato dal raro pittore fiammingo Jan van Essen del Museo di San Martino di Napoli, il secondo attribuito allo stesso van Essen da Gino Doria, conservato nel Museo Brukenthal di Sibiu. Entrambi questi dipinti abbassano ulteriormente il punto di vista e si collocano in posizione mediana tra la veduta di Napoli dal mare di Palomares del Campo e quella di Antonio Joli.

Non sono infrequenti i casi, pertanto, in cui la pittura di paesaggio può offrire una testimonianza su assetti territoriali ed ambientali per noi, ormai, assolutamente inaccessibili nel salto all’indietro nel tempo: in questi casi, evidentemente, la pittura di paesaggio offre una documentazione storiografica di insostituibile valore e di pregio straordinario, giacché ci consente di entrare direttamente a contatto con ambienti e realtà che la storia ci ha completamente sottratto alla possibilità di una conoscenza e di una ricognizione documentale diretta.

E non occorrerà pensare esclusivamente alla pittura antica, a quella pompeiana, ad esempio, giacché anche esempi più recenti, addirittura di produzioni tardottocentesche o primonovecentesche, ci propongono prospettive ambientali ormai del tutto irriconoscibili o introvabili nell’assetto presente che il territorio ha visto rimodellare.

Indicheremo, semplicemente a mo’ d’esempio, i dipinti che Vincenzo Migliaro ebbe l’incarico di eseguire come documentazione di ‘scorci’ ambientali napoletani prima che il piccone demolitore si abbattesse su ampie zone del tessuto urbano partenopeo per operare un intervento di ‘risanamento’ che, in realtà nascondeva, dietro l’intento bonificatore del territorio di fine ‘800, che pure era indispensabile e necessario, una finalità di ben più becera speculazione immobiliare.

Di tale temperie, la testimonianza migliariana (consideriamo, in proposito il dipinto Vico Grotta e Vico Forno a Santa Lucia, che fu il primo dei dipinti che il Migliaro eseguì su commissione del Ministero della Pubblica Istruzione) restituisce non solo una raffigurazione fedele nella minuziosa puntualità del dato documentario, ma anche una descrizione appassionata d’un mondo che s’apprestava a consegnarsi dal vissuto storico reale alla valutazione della storiografia antropologica.

Con intenti analoghi operarono, a Napoli, anche altri artisti, tra cui giova ricordare almeno i nome di Caprile, Pratella e Crisconio, osservando che, comunque, moltissimi altri artisti hanno provveduto a tracciare, nelle loro opere variamente eseguite nel corso del tempo, della seconda metà dell’800 alla seconda metà del ‘900, una profilatura del volto della città che man mano cambiava.

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