Nella seconda metà del ‘900 l’America Latina assume la guida reale della ricerca astrattista, proponendosi come straordinario laboratorio di nuove esperienze creative

È nostro convincimento critico-storiografico che l’America Latina sia diventata, nel corso della seconda metà del ‘900, uno straordinario laboratorio di esperienze e di proposte innovative nel campo dell’Astrattismo e che essa abbia saputo guadagnarsi una posizione di assoluta preminenza nello scenario internazionale nell’ambito di questo specifico campo di intervento artistico.

Qualche studioso ha provato ad interrogarsi per cercare di comprendere se potessero esserci delle ragioni storiche ed oggettive che potessero giustificare una sorta di propensione – quasi ‘naturale’ – del subcontinente americano per la pratica astrattivo-geometrica.   Una ragione convincente è apparsa quella della assenza di importanti pregressi storici di tipo ‘figurativo’, come erano stati, ad esempio, invece, quelli delle civiltà mesoamericane precolombiane caratterizzate da un orientamento molto forte alla sensibilità simbolistica.

Sarà vero anche questo, ma è un dato di fatto che in America Latina giungono, già negli anni ’30, molte sollecitazioni astrattive, di rimbalzo dall’Europa (basti pensare al ‘ritorno’ di Torres Garcia in Uruguay nel ’34), e si affermano contemporaneamente molte proposte di rielaborazione e di opportunità innovativa che in questa terra troveranno terreno fertilissimo, dal momento che la disposizione culturale locale si presenta aperta a rimodellare la concezione globale dell’arte, prendendo a definire una prospettiva interpretativa del suo corso storico secondo una visione meno sclerotica di quella della vecchia Europa afflitta da una sorta di costrizione obbligante nei vincoli di assunti accademici particolarmente limitativi.

Non a caso, ad esempio, un analista (ed artista) di straordinaria levatura, quale fu Carmelo Arden Quin, nel suo processo di analisi critica che si volge a comprendere le ragioni di una proposta storiografica innovativa, individua tre momenti di significativa importanza nella evoluzione della storia dell’arte, momenti che egli definisce di ‘primitivismo’, di ‘realismo’, di ‘decadenza’, che rispettivamente trovano corrispondenza nell’’espressione’, nella ‘rappresentazione’ ed infine nel ‘simbolismo’.

L’analisi è sostanzialmente corretta: noi forse avremmo preferito che per il corrispettivo del concetto di ‘realismo’ egli suggerisse, meglio che il termine di ‘rappresentazione’, quello di ‘raffigurazione’, ma tutto ciò conta poco: mentre decisivamente importante si può rivelare un’altra considerazione.

E la considerazione che emerge imperiosa da questa prospettazione delle cose, che suggerisce l’uruguayano Carmelo Arden Quin, è quella che viene suggerita per l’analisi critica dell’evoluzione creativa con l’uso di un modello di tipo triadico-dialettico, che risponde, in modo abbastanza evidente, alle prospettive di ragionamento che si erano affermate con la metodologia hegeliana.

Tutto ciò trova corrispondenza, peraltro, nella linea d’intervento seguita da Arden Quin, che può essere definita di una visione delle cose molto prossima ad una concezione di ‘pensamiento dialectico materialista’, visione che esprime, nel pensiero dell’Uruguayano, una matrice di ordine ‘materialista’, della quale, però, occorrerebbe meglio additare la più antica scaturigine che, molto probabilmente, scavalcando all’indietro le dinamiche marxiane, va a cogliere del filosofo di Treviri soprattutto l’ancoraggio primigenio, quello, in particolare che si evidenzia già nel contesto dei suoi studi di formazione e in particolare in quelli condotti sull’Atomismo antico e su Democrito in particolare.

Intanto, detto questo, che giova per tenere avvertiti che le dinamiche astrattiste sudamericane del secondo cinquantennio del ‘900 muovono da puntuali assetti di pensiero, che integrano prospettive teoretiche con precisi dispiegamenti di ordine propositivo fattuale, può essere importante ricordare che, alle radici di tutto ciò, non può non individuarsi l’azione di fondamentale rilievo che fu esercitata da Torres Garcia, nel cui ambito creativo si formò una fucina di pensiero e di azione che avrebbe vivificato ed animato la ricerca astrattiva sudamenticana. (si tenga conto, in proposito, del precedente nostro contributo apparso qui in “FreeTopix Magazine” del 26 maggio 2021, dal titolo di ‘Il Taller Torres Garcia’).

Per comprendere meglio lo sviluppo delle cose occorre aver ragione storica anche di altri fatti, evidentemente: ed in particolare della fondazione della rivista “Arturo”, intorno alla quale si riunirono a Buenos Aires nel 1944 numerosi artisti come Gyula Kosice, Rhod Rothfuss, Carmelo Arden Quin, Edgar Bayley (poeta).

“Arturo” che, in realtà, fu prodotta in un solo numero, ebbe il merito di proporre un sostanziale ripensamento nella ricerca astrattiva, andando ad indicare, in particolare, che occorreva compiere un cambio di passo decisivo: quello da una prospettiva ‘creativa’ ad una prospettiva ‘inventiva’. Tutto ciò fu consacrato nella proposta di due mostre che furono prodotte, nel ’44, coi titoli di ‘Art Concret Invencion’ e di ‘Movimiento de arte concreto Invencion’, intorno alle quali si raccolsero artisti come Thomas Maldonado, Rhod Rothfuss, Augusto Torres, Lidy Prati, Joaquin Torres Garcia, Vieira de Silva (di cui ci piace sottolineare una godibile istanza materica, cui era tutt’altro che insensibile lo stesso Torres Garcia) ed altri.

La cosa non era senza rilievo e non sarebbe stata senza conseguenze: con tale cambio di passo si procedeva a produrre due interventi decisivi che consistevano, il primo, nel riconoscere il rilievo della innovazione introdotta da Theo van Doesburg con la sua ‘svolta’ ‘concretista’ avviata nel 1930; il secondo, nell’affermazione della necessità di riconoscere che l’Astrattismo europeo, fermo ancora in una concezione ‘creazionista’, era destinato a rimanere bloccato in una prospettiva tardoromantico-simbolista, protrattasi ancora a lungo, poi, nel corso del secondo cinquantennio del ‘900, in una sorta di deriva manieristica che imbriglia gran parte della produzione astrattiva secondonovecentesca del vecchio continente nella varia articolazione delle sue manifestazioni soprattutto di gruppo più che di personalità individuali.

Le cose non erano, però, così semplici come sembravano e la stessa rivista di “Arturo” si spaccò al suo interno, dividendosi tra una concezione pragmatica e tecnicistica, che avrebbe trovato in Maldonado il suo più fervido sostenitore, ed in un’altra concezione più libera e disponibile alla sperimentazione, che avrebbe trovato in Carmelo Arden Quin il suo mentore.

Entrambi, in fondo, si richiamavano alla vecchia Europa, che veniva però superata: il primo, Maldonado, provvedeva a riproporre le atmosfere di un ‘Concretismo’ un po’ forse troppo schematico ed onnicomprensivo, che trovava specchiamento negli orientamenti del gruppo di ‘Abstraction-Création’ (1931-36) e di personalità come quelle – per quanto non sovrapponibili – di Max Bill e di Vantongerloo (Maldonado si riferirà in modo molto stringente proprio a Max Bill); mentre il secondo, invece, Arden Quin, andava a recuperare il portato dell’intuizione vandoesburghiana dell’invito alla diagonalità (fine anni ’20), che diventa poi, piuttosto, grazie all’artista uruguayano, un invito alla ‘obliquità’.

In base a ciò a noi sembra giusto affermare, quindi, che quell’intendimento di fondo, che in Arden Quin è il richiamo al ‘materialismo’ debba intendersi una propensione piuttosto che verso l’atomismo democriteo, verso la ‘parenclisis’ epicurea o, se più piace, verso il ‘clinamen’ lucreziano.

Apparentemente sembrano salti all’indietro, ma sono, invece, spinte incredibilmente avanzate, che proiettano la ricerca latino-americana nei vertici apicali della proposta astrattiva, aprendo a tutta la ricerca degli anni e dei decenni successivi che avrebbe chiamato in causa altre personalità di artisti a fornire ulteriori contributi di rilevante importanza.

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