È soprattutto negli anni dei due decenni tra le due guerre mondiali che la giovane personalità di Fritz Rieger dà il meglio di sé, proponendo una caratura creativa che si distingue per la spiccata autonomia della sua personalità, che sa rimanere ben legata al tempo del suo presente pur non accettandone passivamente le regole e le prescrizioni

La personalità di Fritz Rieger, sulla quale lasciamo qui planare la nostra attenzione, è quella di un artista che si rivela di particolare interesse, giacché provvede, con la sua opera, a lanciare un ponte tra le sensibilità proprie della cultura figurativa tedesca, che si affermava nello spazio tra le due guerre mondiali, e quella italiana che, nello stesso torno di tempo, muoveva alla modellazione di una profilatura stilistica che, privilegiando la tenuta figurativa, sapesse mostrare uno sviluppo esecutivo modellato secondo ritmi più morbidi ed accomodati a confronto con la coeva pittura germanica  di carattere più vibratamente espressionistico.

L’artista nasce ad Ingolstadt nel 1903 e si forma nel contesto dell’Accademia di Monaco, sotto la guida di Julius Diez e di Max Doerner, che lo introducono ad una visione di composto ‘classicismo’, un classicismo che non è quello della tradizione accademica ottocentesca, ma quello, piuttosto, che vorremmo definire di adeguamento ad una sorta di mentalità dell’antico che sa rendersi, al tempo stesso, accortamente attenta al presente. Basterebbe osservare, in proposito, gli interessi di Doerner per la pittura pompeiana.

Proprio l’interesse per gli aspetti tecnici, d’altronde, fu ciò che contribuì a legare profondamente il giovane Rieger al suo maestro Max Doerner, seguendone l’insegnamento ed impegnandosi nell’esecuzione di moltissime copie di artisti antichi, dai quali, attraverso l’approfondimento di studio, cercava di recepire il messaggio sottile di preziosi suggerimenti operativi.

A metà degli anni Trenta è in Italia, in Lombardia, ove stringe amicizia con lo scrittore Giuseppe Boglione che non gli farà mancare il contributo del suo personale sostegno. E questi, infatti, nel 1934, scrivendo di Rieger, testimonia il rilievo che ha avuto sul suo amico tedesco il trasferimento nel nostro paese: “E venne il primo viaggio in Italia; Fu come uno smarrimento nella luce. Il Rieger stesso confessa che fino a quel giorno gli esemplari esistenti nella Pinacoteca di Monaco non avevano attirata la sua attenzione. Fu, quindi, la rivelazione di tutto un mondo, improvvisa e sfolgorante …”.

Per questo giovane artista tedesco la venuta in Italia si propone, pertanto, come la rivelazione di un mondo ed egli, seguiamo ancora le parole di Boglione, poté maturare “due capitali conquiste: quella del colore per la forma e quella del sentimento e del pensiero per l’anima dell’opera d’arte”.

Non si appassionò il Rieger soltanto ai capolavori della cultura antica che venivano dai secoli passati, e, con tutta evidenza, seppe cogliere con piena immediatezza il portato della ricerca artistica italiana, quella che si muoveva, certamente, entro gli schemi del dettato ‘novecentista’ affermato da Margherita Sarfatti, ma sapendosi affrancare dalla predittività prescrittiva che in molti casi gravava sulle condizioni creative determinando un cedimento alla retorica ed alla inutile magniloquenza.

La pittura di Rieger sceglie di farsi interprete di ragioni più profonde: sembra accostarsi addirittura alle atmosfere ‘magico-realiste’, anche se il suo tratto non s’apparenta ai modi di un Cagnaccio o di un Celada, sembrando, piuttosto, sfiorare le sensibilità figurative di un Fabbricatore.

L’eco della stagione ‘neusachklicketiana’ di Schad, ad esempio, risuona come un richiamo lontano e, piuttosto, il Nostro sembra prendere coscienza di una sorta di questione sociale, dirigendo la sua attenzione figurativa anche a temi all’apparenza più delicatamente ‘feriali’, come appare ben evidente in opere come Gioia di vivere del 1934.

Ebbe particolare familiarità con il ritratto, riuscendo a saper cogliere il dato psicologico distintivo della personalità che aveva di fronte a sé, come ci rivelano, ad esempio, il Ritratto del dott. Hans Löffler del 1933 o quello, dello stesso anno, della Signorina Klingler.

Quest’ultimo dipinto mostra tutta la capacità immaginativa dell’artista e la sua capacità di indirizzarsi ad accogliere e far proprie quelle sensibilità figurative che distinguevano l’approccio italiano alla ricerca figurativa, soprattutto in relazione con le modalità ancora proprie delle atmosfere di ‘Valori Plastici’ che non con quelle promulgate da ‘Novecento’ nella sua accezione più rigida ed ingessata.

Ciò che va senz’altro sottolineato nella personalità di questo artista è la disposizione che egli mostra ad una produzione creativa che sa conservare le proprie radici, provvedendo però, al tempo stesso, a comprendere che un nuovo processo storico s’era ormai avvicinato alle porte e che la stessa figurazione avrebbe dovuto sottoporsi, per poter riaccreditarsi dopo la ‘sbornia’ avanguardistica, dei primi due decenni del secolo, ad un esame di coscienza molto profondo.

Occorreva, ad esempio, interrogarsi sul fatto che era necessario individuare una modalità d’abbrivio alle dinamiche di incerta profilatura sociale che venivano a presentarsi sull’orizzonte, principalmente agli inizi degli anni ’20, quando tutti, in particolare in Germania, avvertivano il peso della sconfitta accompagnarsi ad un ansito di ripresa, di cui, però, non tutte le forze politiche in campo condividevano indirizzi e modalità d’intervento.

Sono questi gli anni in cui il giovane Rieger sviluppa il suo periodo di formazione e le tracce di questi fatti egli le porterà lungamente con sé, fin negli anni, poi, del secondo dopoguerra, quando la valutazione della sua pittura, per quanto potesse apparire datata, rispondeva comunque all’istanza di una scelta di apertura mentale alla quale egli poteva affidare la memoria di un percorso creativo che aveva avuto il pregio di non dover soggiacere alle istanze della retorica contemporanea, sapendo ritagliarsi uno spazio di autonomia e, a suo modo, di libertà, andando a cogliere nel linguaggio degli antichi quel tanto di ineffabile e di sostanzialmente immutabile, sempre capace di sopravvivere al tempo, e di rendersi, di volta in volta attuale.

Alcuni Ritratti di lieve esecuzione grafemica testimoniano non soltanto di, appunto, antiche ascendenze, quasi fiandro-borgognone, ma, soprattutto, di una attenzione ad una declinazione della realtà fenomenica già anticipatrice della temperie ‘iperfigurativa’ che avrebbe disegnato la profilatura di una pittura del realismo capace di prodursi in uno sforzo di generoso rinnovamento, poi, a partire dagli anni ’60 del ‘900.

Con tale viatico, la pittura di Rieger si candida ad un posto di rilievo non solo nella pittura tedesca, ma, principalmente europea, andando a rinverdire le peculiarità di una tradizione storica che, appoggiandosi ad un privilegiamento del risvolto contenutistico, aveva spinto ed ottenuto che l’opera d’arte potesse non dover soddisfare maldestramente i limiti propri dell’azione individuale.

L’artista muore ad Aschaffenburg nel 1987, portando comunque con sé la fama di importante e prezioso ritrattista.

Elenco delle illustrazioni:

1 – Carnevale in Franconia, (dettaglio) 1932

2 – Ritratto del Dottor Hans Löffler, 1933

3 – Ritratto della Signiorina Klinger, 1933

4 – Gioia di vivere, 1934

5 – Ritratto di G,B,, 1932

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