Nella stagione 1982/1982 la Roma si Niels Liedholm e Dino Viola conquistò il suo secondo titolo nazionale

“E’ finita la prigionia del sogno” disse il presidente Dino Viola all’indomani della vittoria del tricolore atteso ben 41 anni. Un senso di gioia ed al tempo stesso di liberazione pervase la città, il brasiliano Falcao ricordò come, al suo arrivo a Roma, i tifosi auspicassero questo traguardo considerandolo quasi una chimera irraggiungibile.

Sfiorato appena 2 anni prima dopo un testa a testa con la Juventus di Boniperti condito da enormi polemiche in seguito al gol annullato a Ramon Turone nello scontro diretto allo Stadio Comunale di Torino, il tricolore si materializzò l’8 Maggio 1983 con il pareggio per 1-1 ottenuto in trasferta contro il Genoa: decisiva fu la bellissima rete messa a segno di testa da Roberto Pruzzo, centravanti originario proprio della  Liguria su cross di Agostino Di Bartolomei, il compianto Capitano di quelle stagioni.

Fu una stagione, quella 1982-1983, condotta con regolarità dalla prima giornata e conclusa in testa nonostante la doppia sconfitta contro la Juventus (reale antagonista per la vittoria finale) per 2-1.

In quegli anni la sfida più sentita era, probabilmente, proprio quella contro i bianconeri anche perché la rivale cittadina, la Lazio, faceva la spola tra serie A e B (come accadde nel 1982-1983). La rivalità con la Juventus era caratterizzata, in quegli anni, da schermaglie anche societarie tra i presidenti Viola e Boniperti: si ricordano, in questo senso, aneddoti e battute cariche di ironia.

La stagione iniziò subito nel migliore dei modi con una vittoria in trasferta, sull’ostico campo di Cagliari: un 3-1 abbastanza agevole che incanalò subito il campionato sui binari giusti.

La partita successiva, in casa contro il Verona, si rivelò, al contrario, davvero ostica: fu solo grazie ad un rigore conquistato da Paulo Roberto Falcao al 90^ sul portiere avversario in uscita e realizzato da Di Bartolomei che i giallorossi riuscirono ad avere la meglio sugli “scaligeri”.

Alla terza giornata la prima battuta d’arresto in trasferta contro la Sampdoria con il risultato di 1-0: un giovanissimo Mancini prese d’infilata Di Bartolomei schierato come difensore centrale e superò Tancredi.

Un’ innovativa soluzione tattica adottata da Liedholm l’anno del tricolore fu proprio l’arretramento di Agostino Di Bartolomei, regista classico dotato di visione di gioco, lancio e tiro dalla distanza, sulla linea dei difensori. Ciò consentiva, con la sua avanzata, di guadagnare un uomo a centrocampo in fase di impostazione; la mossa tattica fu possibile in quanto la Roma ottenne in prestito dalla Sampdoria Pietro Vierchowood, roccioso e rapidissimo difensore centrale che, seppur giovanissimo, aveva fatto parte della vittoriosa spedizione azzurra in Spagna. La rapidità dello “zar” riusciva a compensare l’andatura più compassata di Di Bartolomei.

L’andamento della stagione giallorossa fu alquanto regolare, caratterizzato da molti pareggi in trasferta e vittorie in casa; ricordiamo che in quegli anni la vittoria valeva due punti e non 3 per cui il pareggio aveva, rispetto ai campionati attuali, un peso specifico maggiore.

Il modello di gioco proposto da Nils Liedholm in quel periodo era basato sulla cosiddetta “ragnatela”: una serie costante e metodica (apparentemente lenta) di passaggi rotta da improvvise incursioni e accelerazioni (ad esempio di Bruno Conti, neocampione del mondo) che trovavano nel centravanti Roberto Pruzzo l’ideale finalizzatore.

Non va dimenticato, poi, il contributo che diedero costantemente Aldo Maldera e Sebastiano “Sebino” Nela terzini di spinta con un occhio costantemente rivolto alla fase offensiva: il primo esperto difensore proveniente dal Milan, squadra con la quale aveva già conosciuto mister Liedholm ed in cui aveva vinto lo scudetto della stella; il secondo giovane affermato proveniente dal Genoa in cui si era fatto notare per la potenza fisica, la prontezza nelle chiusure in fase difensiva e la capacità di inserimento in fase offensiva.

A centrocampo giostrava Paulo Roberto Falcao, brasiliano atipico, più razionale che funambolico, una sorta di regista a tutto campo che dettava tempi di gioco e ritmi, probabilmente la reale emanazione del “barone” Liedholm (da cui fu fortemente voluto due anni prima) sul rettangolo verde.

Il brasiliano si rivelò un leader carismatico mostrandosi determinante per l’acquisizione della giusta mentalità vincente: aveva vinto tutto in Sudamerica e cercò di trasmettere fiducia e sicurezza nei propri mezzi a tutto l’ambiente.

Fra i componenti di quel gruppo vincente vanno poi sicuramente ricordati: Herbert Prohaska, ordinato centrocampista austriaco che rimase a Roma solo un anno lasciando poi il posto al brasiliano Cerezo; Carlo Ancelotti, mediano di enorme talento, dinamico e tecnico la cui carriera fu purtroppo costellata da gravi infortuni alle ginocchia (si dimostrerà in seguito uno dei più grandi allenatori della storia del calcio).

Vi erano, poi, rincalzi di lusso come Odoacre “Dodo” Chierico pronti a subentrare con efficacia senza far rimpiangere i titolari.

Il tricolore arrivò al culmine di un processo di rinnovamento portato avanti dal binomio Viola – Liedholm rispettivamente in ambito societario e tecnico. Il presidente Viola si pose come antagonista “politico” e di calciomercato alla Juventus di Agnelli, Boniperti e Trapattoni: fu in quegli anni che la partita fra le due squadre fu definita la “madre di tutte le partite”, proprio ad indicare l’importanza anche simbolica che rivestiva per gli appassionati.

Probabilmente, per la Roma, il momento allo stesso tempo critico e decisivo del campionato vinto fu la settimana che seguì la sconfitta interna contro la Juventus: nel corso della gara si infortunò il prolifico centravanti Pruzzo e Nils Liedholm fece una mossa sorprendente spostando Falcao in attacco; L’idea diede i suoi frutti, infatti il brasiliano segnò la rete del vantaggio giallorosso. La Juventus riuscì, tuttavia, prima a pareggiare e poi a passare in vantaggio vincendo, quindi, lo scontro al vertice.

Seguì, per i giallorossi, un clima di mesto ridimensionamento in quanto la Roma era passata, nel corso della stessa partita, da un vantaggio di 7 punti ad uno di soli tre sulla diretta inseguitrice. Questa atmosfera fu rotta da una famosa intervista rilasciata dal brasiliano Falcao il quale galvanizzò tutto l’ambiente mostrandosi fiducioso nella vittoria finale. Lui stesso siglò, poi, nella successiva trasferta di Pisa, la rete del vantaggio: la Roma riuscì in quella occasione a portare a casa i due punti rimanendo saldamente al comando della classifica.

Una nota di colore relativa agli anni di Liedholm alla Roma, e quindi a pieno titolo anche all’anno dello scudetto, è senza dubbio l’aspetto scaramantico: “Il barone” era estremamente sensibile a questo tema e gli aneddoti raccontati da calciatori e addetti ai lavori che lo testimoniano sono tantissimi. In questo senso, può, dunque, essere considerato più Italiano che Svedese.

Il sogno, comunque, si materializzò l’8 Maggio 1983 a Genova: Pruzzo, “O’ Rei di Crocefieschi”, siglò la rete giallorossa, con uno splendido colpo di testa, proprio nella sua Liguria. La successiva partita in casa contro il Torino fu una giornata di festa, con la vittoria matematica del titolo già acquisita. A parte i titoli vinti e quelli sfiorati (come la Coppa dei Campioni nel 1984) c’è da dire che nei primi anni ’80 la Roma di Viola fu, in città ma non solo, un vero e proprio fenomeno di costume; il “lupetto”, nuovo logo stilizzato ideato dal disegnatore Piero Gratton già ai tempi della precedente proprietà di Gaetano Anzalone (a cui si deve anche l’acquisto del bomber Roberto Pruzzo) si diffuse grazie ai gadgets e al merchandising in genere, un po’ sul modello americano.

I calciatori presenziavano in programmi televisivi, pubblicità e riviste: la Roma divenne, in buona sostanza, un fenomeno di moda coinvolgendo, fra l’altro, anche politici, attori e personaggi del mondo dello spettacolo. Divenne una passione trasversale ancor più di quanto lo fosse già in precedenza in anni, calcisticamente e non solo, dorati in cui il tasso di talento che caratterizzava la squadra si amalgamava alla perfezione con il clima di entusiasmo che si respirava in città.

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