Note sulla figurazione materica al femminile tra le due guerre mondiali

Giova partire dagli anni dei due decenni tra prima e seconda guerra mondiale per poter trovare un approccio convincente alle dinamiche creative che distinguono il contributo ‘al’ femminile fornito nel contesto delle pratiche figurative caratterizzate da una spiccata consistenza materica e da un compiuto intendimento della composizione creativa strutturata secondo una rigorosa  profilatura di robustezza segnica.

Tutto ciò non solo non impedisce, ma addirittura consiglia, di avere considerazione degli ottenimenti di quanto precede questa stagione, avendo conto della temperie tardottocentesca e primonovecentesca, per andare poi ad osservare come tutto il portato della ricerca che complessivamente viene prima della seconda guerra mondiale, possa considerarsi germinativo della vocazione materica e segnica apprezzabile già dalla seconda metà degli anni ’40 – proseguendo, poi, lungo tutto il corso della seconda metà del ‘900 – con un protagonismo ‘femminile’ sempre più determinato ed incalzante.

Una personalità di sicuro rilievo, cui intendiamo fare} riferimento è senz’altro quella di Mimì Quilici Buzzacchi, figura di rilievo nel  contesto della cosiddetta ‘buona borghesia’ padana, quella capace, in particolare, di impersonare il bisogno di trasformazione e di rinnovamento sociale, avendo cartamente d’occhio le dinamiche di potere, ma non lasciandosi abbagliare dalle liturgie di regime.

Mimì Quilici Buzzacchi, Autoritratto, 1926

Non a caso Mimì vive pienamente la stagione di ‘Novecento’, di cui sa interpretare le istanze più vivaci e promettenti, andando a cercare le ragioni di uno sviluppo produttivo non dentro uno sterile  formalismo, ma nella individuazione, piuttosto di un gradiente più avanzato della concezione figurativa, come quello, ad esempio, che caratterizzava alcune declinazioni del realismo tedesco ed in particolare alcuni accenti neuesachlichketiani come quelli ravvisabili in particolare nella magistrale produzione di Ritratti di Christian  Schad.

La cultura padana di Mimi Quilici Buzzacchi ha qualcosa di profondamente antico che si rivela  producente nella offerta di sintesi che va a suggerire di un’istanza ‘naturalistica’ che si svolge sull’asse lombardo-ferrarese trovando gli ancoraggi ancestrali rispettivamente in Foppa e Cosmé Tura.

Questo nostro riferimento alle più lontane scaturigini protorinascimentali padane ben inquadra, peraltro, la figura di Mimì nella prospettiva logica del clima di ‘Ritorno all’ ordine’, giustificando, nel segno, appunto, delle antiche sensibilità ‘materiche’ che emergono nel tracciato da Cosmé Tura ad Ercole De Roberti, quella disposizione ad un ductus ispessito che la Quilici coltiva non come addensamento del pigmento ma come risentimento segnico.

Edita Broglio

Da tale punto di vista, può trovare giustificazione la pittura della nostra artista anche nel quadto di quella processualità ‘valoplastica’ significativamente additata dalla azione di Mario ed Edita Broglio.

E proprio la personalità di Edita Broglio può essere invocata per comprendere, di questa temperie, il versante più propriamente ‘romano’.

Ci si può interrogare sulla pienezza materica dell’opera di queste due artiste, profondamente diverse e, pure, non molto dissimili nei risultati finali e nella proposta di una creatività pittorica carattetizzata da una sorta di deliberata sottolineatura segnica ben evidente dalla scelta condivisa da entrambe di contornare di una distinta definizione perimetrale il profilo dei volti e delle cose.

Anche il Sud non manca all’appello: per certi versi, addirittura precede tutto d’un soffio, se appena consideriamo alcune personalità come Giuseppina Goglia di Foggia, Sofia de Muralt napoletana o la stessa Ada Pratella, purtroppo prematuramente scomparsa, nel ’29, in giovanissima età.

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