Pubblicata per la prima volta nel 1968, con origini molto ma molto lontane

È meglio precisarlo subito, così da evitare ogni tipo di equivoco. Questa storica canzone non è mai e poi mai stata concepita per essere considerata come un brano natalizio. Sicuramente, nel corso di questi lunghi cinquantadue anni e nell’ascoltare il modo di cantarla, ha instillato erroneamente a qualcuno tale possibilità. Ciò, comunque non toglie nulla, ma proprio nulla, alla semplice e disarmante potenza che le note, il coro e l’intonazione della voce, che si deve possedere, emanano al solo udirla.

La leggenda per cui si sia trasformata, con il tempo, in uno dei tanti brani per il Natale che vengono fatti ascoltare in questo periodo risale, almeno per noi italiani, giusto 40 anni fa, durante il decennio 1980. Per sponsorizzare una nota marca di spumante, per Capodanno, venne usata ‘Oh Happy Day’. In verità il testo non parla né del Natale e né del Capodanno e né tanto meno di spumante.

Parla di conversione di un uomo, non a caso i versi sono in prima persona, nei confronti di Dio, ecco perché questo titolo. La prima volta che fu incisa la canzone fu nel lontano 1967, ma fu pubblicata in via ufficiale solo l’anno successivo. Gli autori sono Edwin Singers Sisters.

La data di origine della canzone, semmai in via indiretta, risale addirittura al 1755. Grazie al sacerdote inglese Philip Doddridge. Il titolo era: Oh Happy day, that fixed my choice; che tradotto in italiano significa: O felice giorno, che ha fissato la mia scelta. Il testo, inoltre, si basava su una melodia realizzata cinquanta anni prima, nel 1704, e il cui autore era un certo J. A. Freylinghausen.

Nel diciannovesimo secolo, poi, l’organista e musicologo inglese Edward Francis Rimbault compose, per questo inno, una nuova melodia con tanto di nuovo ritornello. Fu in quel preciso momento che ‘Oh Happy day’ incominciò ad essere conosciuta, perché intonata durante le cerimonie battesimal sia in Inghilterra che negli Stati Uniti.

Ritorniamo così nel 1967. Il pianista presso la Ephesian Church of God in Christ a Berkley, nello Stato della California, fonda il California State Youth Choir. Un coro formato da ben 46 cantati. Tutti tra i 17 ed i 25 anni. Il pianista si chiamava Edwin Hawkins e con il coro iniziò la registrazione delle canzoni intonate durante le cerimonie in chiesa. Otto in totale.

La registrazione dei brani avvenne l’anno successivo, il 1968 appunto. Il disco, in un primo momento purtroppo, non venne stampato in tempo ma contemporaneamente il coro partecipò alla Conferenza della Gioventù a Washington. In realtà la vendita del long play serviva al finanziamento del viaggio. Ciò nonostante, il gruppo partecipò ugualmente e si piazzò secondo. Paradossalmente il gruppo fondato da Edwin Hawkins cantò tutte le canzoni proprie tranne Oh Happy Day.

Facciamo ordine: la canzone fu inserita nella lista del disco da stampare ma nella gara non venne proposta. Motivo? Non faceva parte del repertorio del coro, sempre secondo il fondatore. Dopo l’estate, siamo nell’anno 1968, e dopo la buona impressione che il coro aveva fatto una casa discografica, la Buddha Records, propose l’intenzione di mettere sotto contratto i ragazzi di Hawkins.

Successe, però, che i funzionari della chiesa locale si misero di traverso, impedendo a loro di usare il nome originale. Fu in quel momento che nacquero i ‘The Edwin Hawkins Singers’.

Il long play venne finalmente stampato e pubblicato, in 500 copie, e fatto girare per le radio. E poi? E poi successe che quella canzone, non considerata come propria, non considerata parte integrante del loro repertorio, portò al successo planetario quello sconosciuto coro di Berkley. Qui sotto la versione una realizzata intorno al 2016.

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