Uscito il 30 novembre del 1982, rivoluzionò per sempre la musica e il concetto di videoclip

Lo scorso 29 agosto, per celebrare il suo mito nel giorno di quello che doveva essere il suo sessantaquattresimo compleanno, ci siamo soffermati ad analizzare, nonché a ricordare, il suo quinto album da solista, ‘Off The Wall’, con un articolo diviso in due parti. Due giorni più tardi ci trovammo ancora a celebrarlo con l’anniversario del suo album migliore della sua carriera, ‘Bad’.

Ma la domanda con la quale vogliamo aprire questo terzo speciale dedicato al Re del Pop è questa: quando veramente iniziò il mito di Micheal Jackson? Quando il bambino prodigio dei ‘Jackson 5’ divenne per il mondo quello che oggi conosciamo come il più grande talento del mondo della musica?

Una data c’è. In fondo, un giorno, un mese ed un anno hanno sempre contraddistinto nel bene e nel male la storia della musica. In quel 30 novembre del 1982 non tutti intuirono ciò che stava per accadere. Se con l’articolo di fine agosto avevamo parlato, seppur indirettamente, della rivoluzione in atto da Micheal Jackson, cinque anni prima era appena incominciata e nessuno se n’era accorto. Potremmo, però, ipotizzare che solamente una sola persona aveva intuito ciò che stava per succedere: il diretto interessato, ovvero il Re del Pop.

Una rivoluzione iniziata in quel lontano 1969, quando lo stesso Micheal Jackson a soli nove anni esordì con i suoi fratelli al popolare show televisivo, l’Ed Sullivan Show, in cui iniziò ad abbattere le barriere tra la musica nera e quella bianca. Fu solo il primo passo. Nel 1982 le cose erano già molto diverse e serviva solamente un’ulteriore spintarella per far in modo che si concretizzassero ulteriormente.

Prima di quel 30 novembre 1982 alcuni artisti afroamericani vennero criticati quasi aspramente per essersi cimentati, durante la decade del 1970, solo ed esclusivamente sulla discomusic. Un genere musicale che si sposava molto bene con il pop. Dopo il successo con l’ennesimo album con i suoi fratelli, ‘Triumph’ del 1980, Micheal Jackson tornò in studio esattamente nel 1981, quando il tour promozionale con i suoi famigliari terminò, potendosi finalmente dedicare alla sua nuova raccolta di canzoni inedite e le cui registrazioni, in via ufficiale, ebbero inizio il 14 aprile del 1982 per poi concludersi l’8 novembre dello stesso anno.

Quincy Jones il manager di Micheal Jackson si adoperò per mettere a disposizione del suo assistito la stessa squadra di tecnici, musicisti ed autori di canzoni che aveva lavorato molto bene durante le fasi di registrazione di ‘Off The Wall’. Non solo, lo stesso Re del Pop decise autonomamente di diventare il co-produttore, gestendo qualsiasi tipo di fase creativa. Lui stesso divenne autore di diverse canzoni.

In tutto furono selezionate, per la versione definitiva, ben nove tracce, di cui cinque scritte dallo stesso Micheal Jackson, che formeranno non il suo miglior album della sua carriera, semmai il suo album più venduto della sua carriera, per non dire il più venduto nella storia della musica. Queste erano le tracce: Wanna Be startin something, Baby be mine, The girl is mine, Thriller, Beat It, Billie Jean, Human Nature, Pretty Young Thing e The Lady In my life.

Si è detto delle vendite, il cui record è stato superato da tempo. Eppure, se da un lato la critica osannava il long play già dalla scelta del primo singolo pubblicato nelle radio, ‘Thriller’ nel mercato discografico non ebbe fin da subito un impatto positivo. Era il 18 ottobre quando nelle radio iniziarono a risuonare le note di ‘The Girl is mine’. Brano intonato insieme con l’ex – Beatles Paul McCartney. Un duetto che si attirò l’attenzione del pubblico, ma non abbastanza.

Passarono tre mesi e nel gennaio del 1983 il 33 giri le vendite incominciarono a decollare nuovamente. I singoli che aiutarono molto il trend positivi erano Billie Jean, uscito il 2 gennaio del 1983, e ‘Beat It’, pubblicato il 14 febbraio dello stesso anno. Pare, secondo la cronaca dell’epoca, che per quanto riguarda il diffondere Billie Jean nelle radio sussisteva un completo accordo tra il cantante i produttori. Invece per quanto concerne Beat It no.

La storia, comunque, parla da sé perché le vendite aumentarono soprattutto quando un mese dopo, il 16 marzo, durante la serata dedicata ai venticinque anni della casa discografica Motown lo stesso Jackson, dopo essersi esibito con i propri fratelli, fece scoprire al mondo, proprio con le note di Billi Jean, i suoi passi leggendari: il Moonwalk. Ma questa è un’altra storia che racconteremo di sicuro più avanti.

Quello che ancora non risulta essere chiaro in questa prima parte di speciale è perché abbiamo iniziato con quel quesito e, soprattutto, del perché ci stiamo soffermando su un altro aspetto, comunque non di poco conto, ovvero quello relativo alle vendite. Il motivo è semplice anche se, a distanza di quaranta lunghi anni, non sembra neanche vero.

All’inizio del magico decennio del 1980, il mercato musicale stava attraversando una crisi senza precedenti. Le sonorità musicali, strano a dirlo, erano per lo più piatte o comunque nessun artista, almeno fino a quel momento, era riuscito a scuotere pubblico, critica e, appunto, lo stesso mercato con il genere di musica che proponeva. Quando Micheal Jackson decise di lavorare sul suo sesto album si ritrovò davanti questa scena.

Molto probabilmente, come abbiamo affermato all’inizio di questo speciale, il Re del Pop sapeva già cosa fare; di sicuro aveva già in mente quali erano le mosse da concretizzare, affinché il suo nuovo long play sortisse gli effetti sperati. D’altronde il suo modo di intendere, di produrre, realizzare e proporre musica al pubblico è sempre stato legato ad un termine che non deve essere mai usato a caso, ma con parsimonia. Specie per geni irripetibili come lui, ovvero la parsimonia.

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