La quinta parte de ‘La storia della Graphic Novel’ non poteva che essere dedicata all’articolo in cui venne coniata tale espressione. Dopo aver, seppur celermente e forse anche in maniera non troppo approfondita, attraversato gli anni indicati nel primo appuntamento di oltre un mese fa, parlando sommariamente dei volumi che hanno contrassegnato le origini del perfetto mix tra fumetto e romanzo, tocca dunque anche precisare cosa in realtà scrisse Richard Kyle, l’editore e storico dei fumetti che in quel piccolo testo pubblicato in cui coniò, per la prima volta, l’espressione ‘graphic novel’.

‘The future of comics’ era in realtà una fanzine, termine attraverso il quale si indicava ancora tutt’oggi la cosiddetta rivista amatoriale, attraverso il quale pubblicò l’articolo diventato poi famoso dal titolo: ‘Wonderworld’. Come detto nel primo appuntamento, Kyle, usò l’aggettivo per identificare quell’opere provenienti dall’Europa, quindi dei fumetti diversi, che venivano stampati su carta pregiata e che raccontavano storie più mature rispetto al fumetto tradizionale.

Ma la ‘maturità’ insita in tali opere non era solamente riferito alle storie, quindi alle trame, ma anche nello stile dei disegni. Soprattutto, dunque, nello stile artistico. Ovvero, per essere ancor più precisi, i disegni dei fumetti erano più in stile cartoon rispetto a quelli della graphic novel.

Nonostante ciò, dettaglio non trascurato neanche nel primo appuntamento, Kyle descrisse in maniera molto blanda ciò che stesse accadendo non solo nel vecchio continente, ma anche nella sua patria. Precisando comunque che molti editori, in quel periodo, stavano già cercando di portare il fumetto oltre la soglia dell’età dei ragazzi. Di realizzare un fumetto più adulto.

Nominò, in quell’articolo pubblicato un certo Charles Biro, il quale, mediante la sua attività di editor, presso la Lev Gleason Publications, incominciò a pensare nella realizzazione di un fumetto con una scrittura più ‘seria’ indirizzando, persino, tutte le sue riviste verso quella finalità.

Ciò significava che l’intera editoria americana oltre ad intuire la potenzialità dell’opera ibrida da proporre ai lettori, iniziava ad ingaggiare, tra le sue fila, anche famosi scrittori, i quali fungevano anche da sceneggiatori per nuove storie e anche graphic novel ispirati dalle loro stesse opere.

Il primo che concesse tale possibilità, confermando anche la lungimiranza del mix tra fumetto e romanzo fu il grande scrittore di fantascienza Ray Bradbury. Bradbury firmò con la rivista E.C. Magazine un contratto con il quale concedeva la possibilità di realizzare una serie di ventisette adattamenti a fumetti dei suoi racconti.

Sembrerebbe finita qui, invece no. C’è un’altra parte della storia, comunque narrata brevemente. Un altro anno da cui attingere ulteriori informazioni e che ci porta ancor più in avanti nel tempo. Se ormai abbiamo inteso che il 1964 è l’anno dell’origine, almeno come terminologia, della graphic novel; il 1978 si è avuto lo sdoganamento grazie a Will Eisner, quattordici anni più tardi avvenne la consacrazione della stessa: nel 1992. Ma questo ve lo racconteremo la prossima settimana.

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