Quello de I Nuovi Selvaggi (Die Neuen Wilden) è l’appellativo riservato ad un gruppo di artisti tedeschi attivi dagli anni ’80 in poi, che interpretano il malessere sociale di una Germania che nel benessere economico non sembra aver saputo trovare il punto di equilibrio della sua identità

Parliamo del raggruppamento artistico dei Nuovi Selvaggi, analizzando il significato del loro impegno creativo nel contesto non solo della Germania, ma anche in quello complessivamente europeo, a partire da quegli anni ’80, che segnano la svolta culturale verso gli orientamenti di ‘riflusso’ del ‘pensiero debole’ e della ‘postmodernità’.

Siamo negli anni ’80, quindi, e tutte le vicende articolate e complesse che hanno contrassegnato – sia sul piano politico, che su quello sociale – il decennio degli anni ’70 sembrano evaporare in un clima manifestamente oppressivo e sconfortante che è quello delle atmosfere del ‘riflusso’ e del riassorbimento di tutte le spinte progressive che avevano segnato, in Europa, la temperie sia degli anni ’60 che dei ’70, vissuti, i primi, all’insegna del cosiddetto ‘boom economico’, ed, i secondi, all’insegna di una dilatazione della sfera dei diritti sociali e di cittadinanza.

Gli anni ’80 segnano, di fatto, un’inversione di tendenza; ed il preannuncio del cambiamento di passo si avverte in modo molto netto e puntuale con l’emergere di una cultura di carattere ‘postmoderno’ che provvede ad annichilire gli spessori contenutistici in premio di ciò che una calzante  formula letteraria esprime con l’impareggiabile sintesi di ‘insostenibile leggerezza dell’essere’; mentre la pubblicità agita uno slogan di grande impatto emotivo come quello di una ‘Milano da bere’, additando – entrambe tali locuzioni – uno scadimento verticale della forza dei contenuti e la scelta di abbandono e rinuncia degli indirizzi di pensiero perseguiti, in premio di ciò che si profila invece, oltre che come ‘riflusso’ ed arretramento, come una vera e propria rimodellazione di deriva ideologica.

‘Deriva’, d’altronde, è una delle parole-guida; e viene scelta per definire una modalità di intervento artistico, quella di un movimento gemello dei Nuovi Selvaggi, la Transavanguardia, che aveva inaugurato il decennio degli ’80, proponendo le formule e, comunque, le linee ispirative di ‘deriva’, ed anche quelle di ‘prelievo’ e di ‘erraticità’, che dovrebbero poter giustificare non soltanto un ‘ritorno alla pittura’ (dopo la stagione delle neo-avanguardie ‘concettuali’ e ‘partecipative’) ma anche una riappropriazione della ‘gioia del dipingere’ dopo quella che sarebbe stata (secondo un certo modo di far critica d’arte) la precedente stagione culturale della ideologizzazione dell’arte e del suo tentativo di divorzio dal ‘mercato’.

J. Immendorff

Gli artisti della Transavanguardia italiana in qualche modo, però, ‘tradiscono’ – quasi in contrasto con se stessi – l’assunto dell’abbassamento della soglia contenutistica, ottenendo dei risultati propositivi che, anche, forse, contraddicendo, quindi, i loro stessi istradamenti  programmatici e ‘di scuola’, forniscono prova di una consistenza contenutistica che si afferma – come dire – preterintenzionalmente rispetto all’intendimento volitivo e premeditato.

Emerge, in tal modo, la peculiarità di una vocazione latamente espressionistica che variamente distingue gli artisti transavanguardisti italiani e che si afferma, con ancor più vigore e convincente prestanza, nell’attività creativa dei colleghi tedeschi, quei Nuovi Selvaggi, variamente distinguibili anche per fasce generazionali e, comunque, significativamente riconducibili alle sensibilità creative ed articolate nel tempo di Penck, di Polke, di Baselitz, di Lüpertz, di Richter, di Kiefer, di Immendorff  e di altri ancora.

G. Baselitz

Tutti questi artisti sembrano ricalcare le orme della più lontana stagione dell’Espressionismo tedesco, ad esempio, dei tempi della ‘Brücke’ di primo ‘900, ove, certamente, la consapevolezza e la consistenza dell’impegno politico avevano uno spessore di più avvertita istanza.

Eppure, questa nuova stagione espressionistica tedesca, che esplode con manifesta esuberanza nei primi degli anni ’80, dopo essersi, in qualche modo già preannunciata all’orizzonte, non manca di proporsi di grande interesse, giacché essa costituisce la spia di un malessere, la evidenziazione pratica e tangibile di un disagio che la disponibilità di ricchezze e di risorse non riesce a sanare, giacché la sofferenza di una società non nasce esclusivamente dalla mancanza di beni ‘di consumo’, ma si manifesta anche quando proprio l’abbondanza dei beni materiali non riesce a consentire ad una società di riconoscersi come una comunità.

Nei primi anni ’80 non è ancora maturato il processo che porterà, alla fine del decennio, all’abbattimento del ‘Muro di Berlino’, ma già Berlino dimostra di essere luogo di sempre più acute e laceranti contraddizioni, il luogo emblematico ove vengono a confronto modelli di società e stili di vita, ai quali gli artisti sono consapevoli di dover fornire una sorta di ‘sponda creativa’ che non può limitarsi semplicemente alla giubilazione di un modello esteriormente affluente.

A. Kiefer

La Transavanguardia in Italia, i Nuovi Selvaggi in Germania sembrano convincersi di avere un ruolo ben preciso da giocare, che dovrebbe essere quello di proporre una immagine variegata e disimpegnata di una realtà umana che si prefigge di girare la testa dall’altra parte, come se bastasse negare l’esistenza di un tema per esorcizzarne la portata.

Epperò, proprio questo tentativo di una giovialità solo apparentemente ‘antipolitica’ finisce col prodursi in un risultato, evidentemente opposto, di profonda intensità ‘politica’, nel momento stesso in cui i Nuovi Selvaggi, nella specie, quanto e non meno dei Transavanguardisti italiani, finiscono col denunciare – lo dicevamo prima, preterintenzionalmente – la consistenza empirica e fattuale di un problema, dando corpo ad una pittura che avrebbe potuto dimostrare le peculiarità significative dei suoi assetti solo quando, come ai nostri giorni va ormai succedendo, cominciano a cadere le maschere delle promesse tradite.

 Ed, in particolare, queste che cadono sono le maschere di quanti, all’interno della prospettiva ‘postmoderna’, esaltata nelle formulazioni, tra gli altri, di Lyotard o di Vattimo, avevano promesso la palingenesi sociale e l’avvento di ‘magnifiche sorti e progressive’, tante meraviglie, insomma, cui fa riscontro, invece – e proprio a quarant’anni dal momento di irruzione sulla scena artistica della pienezza avvertita del fenomeno dei Nuovi Selvaggi – la prospettiva della decrescita economica europea  (‘decrescita’ non certamente ‘felice’, come ha preconizzato Latouche) cui si aggiunge la  guerra stessa in Europa, addirittura la guerra, sì, col suo carico non solo di tragedia e di morte, di devastazione e di affanni, ma anche col suo carico insopportabile di bugie, di disinformazione e di inganni.

Due opere di G. Richter

La consistenza espressionistica, insomma, come dire, non si tradisce; ed anche al di là degli intendimenti di quanti ne vorrebbero istradare gli ottenimenti creativi ad instrumentum regni, lo spessore segnico finisce con l’avere il sopravvento sulla ‘leggerezza’ simbolistica e derivativa.

I Nuovi Selvaggi hanno avuto, insomma, uno sguardo, a loro modo, lontanante e profetico.

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