L’arte brasiliana è quella che, nel Sud-America, presenta una articolata pluralità di indirizzi creativi, tra i quali spicca una notevole componente astrattista, talvolta disponibile anche ad una scelta di integrazione con altre sensibilità

La consistenza dell’apporto brasiliano alla temperie astrattista – pur non presentandosi con l’evidenza innovativa e propositiva che appartiene ai contesti uruguayano ed argentino, ove, tra seconda metà degli anni ’40 e decennio degli anni  ’50, matura una spinta propulsiva notevolissima – si presenta, comunque di notevole spessore.

A. Volpi, Banderinhas

Per cercare di fornire un quadro storico, sia pur breve e sintetico, penseremo d’abbrivio alla figura di Alfredo Volpi, che nasce a Lucca, nel 1896, e che si forma, poi, in Brasile, proponendosi, presto, come una personalità animata di spirito sperimentativo.

La sua vena creativa lo spinge ad una semplificazione della forma delle cose, che egli prende a definire con poche campiture omogenee che perimetrano scarne superfici cromatiche giustapposte secondo una distribuzione figurativa di essenziale semplicità.

H. Oiticica, Grande Nucleo, 1959

Tale capacità, che vorremmo anche definire riduzionista, si compendia nella messa a punto di una delibazione totalmente aniconica in cui ciò che può apparire una scelta di semplificazione nel rapporto con la consistenza oggettuale delle cose si rivela, di fatto, come momento di una processualità, piuttosto, eidetica, che è quella che non si limita ad una rastremazione minimalista della datità figurativa, ma punta decisamente al suo azzeramento astrattivo.

Osserveremo come punto di mediazione, potremmo dire, nella pittura di Volpi, la realizzazione delle Banderinhas, ove l’astrazione si integra nel contesto ‘figurativo’, immedesimandosi nella semplificazione allusiva dell’oggetto esaltata dalla ritmicità di una sorta di cadenza ripetitiva e seriale.

A. Ianelli, Case, 1953

Una cadenza che ci porta alla musica, al samba, all’istanza travolgente del suono della musica brasiliana, che avrebbe trovato nelle misure creative del Movimento di ‘Tropicalia’ una voce importante di richiamo alla domanda di un riscatto sociale interpretato anche come rivalsa di istanze nazionali e native, capace di proporsi come cassa di risonanza delle tradizioni ed anche come denuncia delle condizioni di vita delle favelas.

Ovviamente, non può non tenersi conto che, intanto, era stato portato avanti il grande esperimento di Brasilia che si afferma con tutte le contraddizioni delle sue scelte di indirizzo – pur di ordine razionalistico – che manifestano con evidenza una distanza significativa tra la prospettiva avanzata della spinta innovativa e la mancata attenzione ad un contesto che ha ben altre consistenze naturali ed antropologiche.

A. Ianelli, Senza titolo
L. Clark, Senza titolo, 1962

A dare impulso alle logiche di ‘Tropicalia’ – e della sua profilatura critica – contribuisce in particolare, Helio Oiticica, nato nel 1937, un artista che ha già maturato, entro gli anni ’60 (periodo in cui si anima appunto ‘Tropicalia’, cui egli fornisce un importante contributo di performances e installazioni) una significativa esperienza astrattiva, modellata secondo un indirizzo che sembrerebbe possibile definire postcostruttivista-minimalista.

Ciò d’altronde, non stupisce, se consideriamo che l’istanza astrattiva era stata intesa come una prospettiva di effettiva proiezione innovativa, come aveva saputo dimostrare, ad esempio, l’attività produttiva di Arcangelo Ianelli (1922), che, muovendo, dapprima, da una sensibilità figurativa di chiaro impegno planare e di convinta sensibilità tonale, sviluppa fino in fondo i significati profondi di tali peculiarità creative di carattere realistico, giungendo fino alla più completa misura di aniconismo in cui delle campiture sostanzialmente quadrangolari si compongono in assetti  di varia giustapposizione, tracciando profilature cromatiche convincentemente accordate su basi coloristiche apparentemente spente e, di fatto, suggestivamente pregnanti.

All’opera di Ianelli ci piace accostare quella di una splendida artista, Lygia Clark (1920), che pone la misura della ricerca astrattiva alla base di una solidità contenutistica che fa della sua attività creativa anche una testimonianza di coscienza civile. Troviamo, non a caso, anche il nome della Clark nel contesto di ‘Tropicalia’ e, soprattutto, osserviamo come la sua produzione creativa sappia volgere l’interesse della pratica astrattiva nella direzione di una produzione di forme ove la geometria sappia e possa farsi traccia segnica di grande vibratilità.

A. Malfatti, Ritratto

Come si può ben osservare, c’è, forse, da poter dire che una caratteristica saliente delle dinamiche astrattive brasiliane – più intensamente che in altri contesti sudamericani – debba essere considerata la vocazione civile, l’impegno di una consapevolezza politica e di una sensibilità fortemente matura.

Ciò si rivela essere specchiabile, peraltro – anche al di là, evidentemente, delle specifiche delibazioni di ordine astrattista – in ulteriori spunti testimoniali, che si offrono nell’attività, ad esempio, di Lasar Segall (1890), che opera già nella prima metà del ‘900, e poi di due altre grandi pittrici, entrambe native di San Paolo, l’una, Tersila do Amaral (1886) che conferisce alla sua ricerca una calettatura quasi surreale, fatta di forme arrotondate e sognanti, l’altra, Anita Malfatti (1889) pregevolissima protagonista, nel suo lavoro, di ciò che vorremmo definire una prestazione di sintesi espressionistico-cubista.

(Le immagini che corredano questo nostro intervento di studio sono tratte da fonti di libero prelievo e, più in generale, dalla Rete; e se ne ringraziano i rispettivi Autori, avendo noi conto di attestare che l’uso fatto di esse è apparentabile a quello della brevi citazioni di testo adoperate per ragioni documentative).

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