Nel contesto della pratica astrattista sudamericana si inserisce il contributo creativo offerto dalla personalità di Carmen Gloria Morales, artista attiva per lungo tempo in Italia ed espressione, comunque di una profonda sensibilità di appartenenza cilena

(Le opere che documentano questo articolo sono tutte di Carmen Gloria Morales)

Il contributo cileno all’arte contemporanea si segna senz’altro della personalità di Matta, una figura particolarmente ricca di suggestive sfaccettature, correntemente inquadrata nelle logiche propriamente surrealiste, che egli interpreta con taglio propositivo assolutamente personale, sfuggendo, per certi versi, all’imbrigliamento bretoniano, per volgersi a definire una declinazione del tutto peculiare di ciò che possiamo ben definire come una sensibilità onirica interpretabile di abbrivio segnico e di tangibile taglio espressionistico non privo di qualche evanescente suggestione astrattiva più che propriamente astrattista.

Senza titolo, 1967
Senza titolo, 1967

                                                 

A confronto con tale personalità di artista, si colloca la figura di Carmen Goria Morales, una donna-artista, che definisce il suo ambito di intervento nell’ordine della pratica propriamente astrattista, di cui declina una formulazione che si presenta nell’immediato della scansione compositiva di netto impianto geometrico e di asciutta normazione modulare.

Nel panorama dell’Astrattismo sudamericano, la pratica di Carmen Gloria Morales si segnala non solo per la messa a punto di un linguaggio espressivo di grande rigore formale, ma anche per la assoluta autonomia ed originalità della sua ricerca che non appare affatto omologabile su ciò che vorremmo definire il ‘basso continuo’ delle logiche astrattiste sudamericane esemplate lungo il gradiente esperienziale che muove – e qui semplifichiamo enormemente – da Torres Garcia e perviene a Soto, passando per Maldonado ed Arden Quin, al netto del contributo di Fontana.

Senza titolo, 1967
Senza titolo, 1973

Carmen Gloria Morales mette a punto una formula geometrica di grande essenzialità, che la porta a individuare soluzioni di grande efficacia ‘minimalista’ procedendo, nella specie, ad eseguire grandi campiture omogenee, profilate di netta fluidità segnica interna, o suggerite in assetti diffusamente planari, con scansione d’assetto talvolta anche di dittico, venendo così a produrre una significazione oggettuale di grande prossimità, in quest’ultimo caso, ad esempio, con le soluzioni figurative di Rothko, ma certamente con più rastremata contingenza formale e politezza di ductus.

Non mancano, poi, altre compitazioni creative in cui la nostra artista interpreta le ragioni astrattiste secondo moduli di maggiore libertà propositiva e formale, impegnata sempre – e comunque – in una azione di intervento costruttivo ispirata da sottili rimandi alla simmetria ed al bilanciamento delle parti in gioco nella profilatura compositiva generale.

Ci piace riportare le parole che di questa artista ha dettato Nello Ponente, evidenziando come nella sua ricerca “il risultato d’ordine non blocca affatto il discorso, non ne fa una testimonianza della preistoria, al contrario, lo lascia aperto e possibilista”. E, proseguendo, il critico scende ancor più in profondità nella disamina analitica svelando come “ti accorgi che l’immagine così precisa, le zone cromatiche così organicamente giustapposte, si umanizzano perché sono state suggestionate nel loro elaborarsi, da riferimenti forse occasionali, certamente concreti nell’esperienza visiva che li ha assunti”.

Senza titolo, 1974

Tali osservazioni particolarmente pertinenti lasciano intendere quanto significativo sia lo spessore ‘contenutistico’ della ricerca che viene condotta dalla nostra artista, una ricerca che fornisce una lettura delle cose non certo in termini di ‘astrattezza’, ma certamente di ‘astrazione’, cosicché il portato complessivo della sua azione creativa possa essere inteso come il tentativo di un affondo epistemologico, come il tentativo, certamente riuscito, di fornire una lettura del mondo, muovendo alla analisi delle sue proporzioni e mirando a calettare una profilatura dei limiti ed anche delle opportunità della conoscenza.

È ancora Ponente a riconoscere nella nostra artista una disposizione ad una sorta “di intima narrazione … [cosicché] anzi che astratta dal tempo e dalla storia, la nuova immagine è completamente inserita in un presente, in un’attualità”.

La prospettiva critica appena additata provvede, d’altronde, a mettere in evidenza i dati salienti che costituiscono  la costituzione stessa dell’intendimento morale e di pensiero di Carmen Gloria Morales, intendimento che la nostra artista ben esplicita con le dichiarazioni che rende del suo impegno, come quando sostiene, in particolare, che “la pittura non può  autosignificarsi senza reificarsi¸ che essa deve caricarsi di responsabilità nuove, coerenti e conseguenti alla misura ed al carattere della crisi: imparare a conoscere la propria storia e sforzarsi di immaginare il proprio futuro¸ dialetticamente riferirsi a modelli alternativi di emancipazione sociale (a costo della sua asocialità): rifondare cioè una propria solidità assiologica, la propria utopia ed il proprio sistema”.

In un nostro volume di alcuni anni fa, mettendo in evidenza il ruolo della proposta creativa di Carmen Gloria Morales, abbiamo sottolineato, usando le sue parole, come ella affidi all’arte il compito di ”riattivare la sua potenzialità progettuale non in funzione di un’utopia programmata, ché altrimenti segnerebbe  la irreversibilità del suo male, bensì in funzione di un’utopia evoluta, di un’immaginazione del futuro che parta dal principio della insostituibilità dell’arte”.

Una grande lezione etica e politica, insomma: il ruolo dell’utopia e la sua analisi in termini effettivamente producenti.

Questi pensieri della nostra artista si datano in immediata contemporaneità con gli eventi tragici che segnarono la fine dell’esperienza democratica di Allende e ne costituiscono, in qualche modo, una prospettiva drammatica e sofferta del suo lascito morale e della testimonianza estrema offerta nelle stanze del Palazzo della Moneda: “Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore”.

La personalità di Carmen Gloria Morales può essere senz’altro elevata a rappresentante della maturità piena della concezione astrattista cilena, anche se questa artista, in realtà, ha potuto vivere la gran parte della sua vita in Italia, divisa, sostanzialmente, tra Roma e Milano, ma senza mai lasciare allentare il legame con la sua terra d’origine, di cui può ragionevolmente considerarsi una voce autorevole e significativa.

(Tra le fonti di documentazione ci convince segnalare i seguenti testi: CARMEN GLORIA MORALES, Autopresentazione in catalogo mostra presso Galleria ‘Ferrari’, Verona, 1974; NELLO PONENTE, Testo di presentazione della mostra personale di Carmen Gloria Morales presso Galleria ‘Arco d’Alibert’, Roma, 1967; ROSARIO PINTO, L’Astrattismo nella prospettiva dell’Astrazione geometrica, Istituto Grafico Editoriale Italiano – Napoli, 2011.)

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