Miami Beach è ovviamente la spiaggia più famosa della Florida. Regina indiscussa di tante serie televisive e film. Ma anche di fatti di cronaca nera. Qui, nel 1997, veniva ucciso Gianni Versace.

Tuttavia, di questa spiaggia conosciamo veramente poco. La sua storia potrebbe farci riflettere molto sul drammatico impatto che l’opera dell’uomo può avere sulla natura.

Intanto Miami Beach non è da confondere con Miami. Sono due città distinte, anche se divise tra di loro da una stretta lingua di mare, la Biscayne Bay. Miami Beach è un’isola: una grande duna di sabbia, creatasi milioni di anni fa, proprio di fronte a quel tratto di costa della Florida.

La città di Miami venne fondata a fine ‘800, sulla terraferma, grazie all’arrivo della ferrovia a pochi metri dal mare. Una famiglia di imprenditori, i Collins, vide subito il business: trasformare quella intricata foresta tropicale di mangrovie, al di là della baia, in un unico grande resort. Iniziò così la fine di quella meravigliosa spiaggia.

Miami Beach venne inaugurata, come cittadina, il 26 marzo 1915. Oggi conta una popolazione di circa 100.000 abitanti e centinaia di alberghi, affacciati direttamente sul mare. Il giro d’affari è miliardario.

Tornando alla spiaggia, già negli anni ’30, era scomparsa. Tante sono le foto dell’epoca che ritraggono i grandi alberghi quasi lambiti dall’oceano.

Avendo infatti bonificato le foreste di mangrovie retrostanti, che trattenevano i granelli di sabbia e permettevano un ciclo naturale di conservazione, nel giro di 15 anni, il mare erose completamente quel lungo tratto di arenile. Un disastro ambientale di enormi proporzioni per tutto l’ecosistema della zona. Un disastro peraltro irreversibile.

Miami Beach è oggi un’isola completamente artificiale. Asettica ed immacolata: nessun tipo di animale o pianta spontanea è presente.

La sabbia è fatta di detriti, sminuzzati e straordinari. Ancora oggi non è del tutto chiaro come si formi. Ognuna è diversa. Quella delle Maldive è fatta di coralli polverizzati; quella australiana di conchiglie; quella californiana di pezzi di cristallo, piccolissimi e levigati dal vento e dall’acqua. Molte spiagge italiane, da quelle liguri a quelle romagnole, sono state create, nei millenni, dai sedimenti trasportati a valle da fiumi e torrenti.

Le più belle, quelle da copertina, sono in genere fatte da piccolissimi pezzetti di quarzo o carbonato di calcio. E sono bianchissime. Le spiagge, essendo sostanzialmente fatte di detriti, mutano nel tempo, con un ciclo delicatissimo. Si può dire che le grandi mareggiate invernali rubano la sabbia, mentre le onde estive – solitamente più piccole – la riportano a riva. Nel ciclo naturale, è maggiore la quantità che si ferma rispetto a quella che si disperde in acqua. La vegetazione, che cresce spontanea sulla duna retrostante la battigia, ha il compito di trattenere i granelli, in un equilibro complicato ma perfetto.

Se la spiaggia interrompe il suo ciclo naturale, la sabbia che si dissolve in mare è sempre di più di quella che ritorna. Ciò è successo a Miami Beach. Per questo motivo, da decenni, l’esercito americano si occupa del “ripascimento artificiale” della riva. Una volta che questo processo ha inizio, è tuttavia per sempre: non si può arrestare.

Per fare le spiagge, poi, serve una sabbia di un certo tipo: quella delle dune è troppo levigata e quella fatta sminuzzando le rocce è quasi sempre troppo irregolare. In generale la sabbia deve essere omogenea nella forma, nella dimensione e persino nel colore, non solo per questioni estetiche. Occorre attenersi il più possibile al tipo di sabbia che c’era in origine, perché la natura l’ha modellata in quel modo per determinate ragioni. Una sabbia troppo scura, per esempio, trattiene il calore in modo diverso, causando mutamenti nel sesso delle tartarughe che li ci nascono.

Non solo occorre trovare la sabbia giusta, ma il ripascimento ha bisogno di enorme lavoro ed ingenti spese. Così, oggi, è in atto una vera e propria “guerra della sabbia”. E Miami Beach ne ha bisogno di molta per mantenere i suoi grandi ricavi turistici. Allo stesso tempo, però, non sta riuscendo a trovare altre contee o altri comuni vicini disponibili – anche dietro pagamento – a rinunciare alla propria sabbia, che sta diventando un bene prezioso per tutti.

L’amministrazione della città ha quindi provato a cercare la sabbia altrove, spingendosi sino alle Bahamas, a circa 80 chilometri di distanza. Da qualche anno, la sabbia si ricava triturando i sassi della miniera di Witherspoon, a circa 160 chilometri più a nord della città. Ogni giorno partono circa trecento camion che trasportano settemila tonnellate di sabbia verso la città, soprattutto per il tratto davanti all’hotel Fontainebleau. Si stima che il costo complessivo dell’operazione sia di 12 milioni di euro l’anno. Per questo trasporto, si scaricano nell’atmosfera circa 48.000 Kg di CO2 al giorno, aumentando ancora di più il grande disastro naturale compiuto. I costi di mantenimento di questo tratto di costa ammontano ormai a miliardi di dollari.

Ma sarà del tutto inutile. La sabbia, prima o poi, finirà.

A causa, inoltre, del riscaldamento globale, l’acqua davanti a Miami sale di 2,5 centimetri l’anno, e lo farà con un ritmo sempre maggiore. I palazzi, gli hotel e gli edifici costruiti a ridosso, verranno sommersi. Ben presto, la costa si trasformerà in una fortezza di rocce e cemento. Le spiagge che rimarranno saranno solo “parchi di divertimento” mantenuti con costi altissimi, ricostruiti di frequente, con sabbia che arriverà da sempre più lontano.

Ma non sempre si è anteposto il business alla sostenibilità e al benessere della natura. Poco più a nord, nei pressi della cittadina di Sebastian, un grande progetto ha preso corpo. Anche in questo caso la spiaggia stava velocemente scomparendo. Già a fine ‘800 si intervenne per tagliare l’insenatura e permettere la navigazione all’interno della baia. Questi progetti alterarono il ciclo della sabbia, contribuendo alla veloce scomparsa della duna.

In questi ultimi anni, un gruppo di biologi ed ingegneri, ha messo in atto un programma naturale di ripascimento, molto impegnativo, ma del tutto sostenibile. Con un periodo lungo due anni, per non alterare troppo l’ecosistema, la sabbia viene dragata dal mare antistante e riposizionata. Ad ogni aggiunta di sabbia, si interviene con una accurata ricostituzione della duna retrostante. Vengono messe a dimora migliaia di piante di avena di mare, a ridosso della riva, che, crescendo, vanno a ricostruire l’habitat originale. In questo modo si ricrea automaticamente il ciclo di vita spontaneo: i granelli vengono trattenuti, i ritmi lunghi e naturali della spiaggia e dei suoi abitanti ripristinati.

Grazie a questo innovativo piano di salvaguardia, il primo attuato in tutta la Florida, si sono potute mantenere efficienti tutte le attività commerciali della zona, insieme alla progressiva ricostituzione dell’ecosistema naturale dell’intera baia.

Un pensiero su “MIAMI BEACH: CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *