Nel periodo dei decenni degli anni Venti e Trenta le artiste sanno far sentire alta la propria voce e conquistano un rilievo di primo piano nella considerazione del proprio ruolo

Gli anni tra le due guerre mondiali furono particolarmente importanti nel processo di rimodellazione sociale che l’Italia – che intanto usciva dal primo conflitto avvertendo una sorta di amarezza per una vittoria ‘dimezzata’ – ebbe ad attraversare imponendo a se stessa il disegno decisamente impegnativo di trasformarsi da paese agricolo in paese a vocazione industriale.

Ciò richiedeva una trasformazione radicale dei rapporti sociali, oltre che economici e della produzione. L’arte non poteva essere indifferente. Ed occorreva, soprattutto, coinvolgere in questo processo che intendeva d’essere ‘epocale’ anche la componente femminile della nazione italiana.

Questo era il disegno del Fascismo, che, però, trovava i suoi limiti oggettivi non solo in una concezione di muscolarità decisamente ‘maschilista’, ma anche nel problema molto grave dello squilibrio Nord-Sud ormai radicato nella penisola dagli anni successivi alla unificazione nazionale nel 1861.

Certamente, il Fascismo mira a sensibilizzare le masse e persegue un disegno di  paideia  al cui interno si colloca anche una questione apparentemente marginale, ma certamente non di poco spessore morale e culturale: quella della autonomia creativa che le donne-artiste intendono poter affermare, dopo aver posto in agenda tale dirimente esigenza già dagli anni della seconda metà dell’ ‘800, procedendo ad organizzarsi in associazioni, gruppi d’intervento e comunque di una proposta di mostre e di occasioni espositive molto spesso di altissimo livello.

Edita Broglio dall’interno stesso del processo di ‘Valori Plastici’, ma anche Margherita Sarfatti che dava vita a ‘Novecento’, uno dei più importanti movimenti artistici del primo ‘900, procedono a ‘sdoganare’ la qualità non solo creativa, ma anche teoretica ed organizzativa dell’intervento creativo al femminile. A tali figure, potremmo aggiungere molti altri nomi. Come quello della Grandinetti Mancuso, di Sofia De Muralt, di Mara Corradini, di Ada Pratella e, sul piano spiccatamente creativo, quelli di Lia Pasqualino Noto o di Antonietta Raphael che ebbero anche un ruolo di ‘opposizione’ rispetto agli orientamenti più accomodanti e conformistici delle logiche del periodo e del regime.

Va osservato che il protagonismo creativo delle donne trovò modo, per la prima volta nella sua storia, di guadagnare unapiena e riconosciuta parità di genere, grazie anche all’accesso femminile alle esposizioni delle ‘Sindacali’, le mostre d’arte organizzate a vario livello territoriale ad opera del Fascismo.

Il Fascismo, comunque, non avendo una grande considerazione della donna, cercava di utilizzarne il ruolo, indirizzandolo, come già detto, alla promozione strumentale d’un nuovo modello sociale.

Sofia De Muralt

Si affaccia, però, inopinatamente e  comunque, nelle donne – curiosamente incoraggiate dall’azione stessa esercitata dal regime e promossa proprio immaginando di poter così meglio tenere a freno la loro domanda di autonomia – una sorta di coscienza dalla inevitabile caratura ‘politica’ della dirimente creativa ‘di genere’: una dirimente che, evidentemente, incide poco sul piano delle specificità stilistiche, ma giunge ad ampliare notevolmente la visione di campo delle donne conferendo loro una sensibilità più profonda sul piano della consapevolezza dei mezzi e dei fini.

Mara Corradini

Durante gli anni del regime fascista, si sviluppa, così, una fioritura di numerose iniziative ‘al’ femminile, che si espandono dalle più importanti ‘capitali’ italiane dell’arte a molte città di provincia, come, ad esempio, a Messina o a Salerno (nel cui ambito ricorderemo, a Cava de’ Tirreni, ad esempio, Pia Galise), ove è possibile veder fiorire idee molto interessanti e mature depositate nel profondo della provincia italiana ed addirittura in quella più martoriata e schiacciata del Sud.

Pia Galise

Può essere importante valutare, inoltre, l’inquadramento anche degli aspetti della produzione artistica delle donne in quell’ambizioso disegno politico che  che fu interpretato dalla ANFDAL (Associazione Nazionale Fascista Donne Artiste Laureate) in cui si provvedeva a far convergere il portato delle  funzioni sociali e produttive di maggior peso delle attività professionali delle donne.

Lia Pasqualino Noto ed una sua opera

Tutto ciò può essere considerato, al tempo stesso, una spinta  di sviluppo ed un limite per la creatività ‘al’ femminile, fino al punto di richiedere  una revisione logica ed organizzativa  da parte delle donne della concezione del proprio ruolo nel contesto artistico per potersi specchiare con piena e matura coscienza non solo nel prodotto della propria attività creativa, ma anche nella originalità del suo progetto.

Giova osservare che la azione di artiste come Maria Castellani vale alle artiste per conquistarsi uno spazio internazionale, andando ella a stringere rapporto con la National Federation of Business and Professional Women, fondata negli Stati Uniti da Lena Madesin Philips nel 1919.

Le artiste, in tale contesto, trovano poi spazio di guadagnarsi un’ulteriore opportunità di visibilità (che si affianca a quella dei Prelittoriali e delle Sindacali), anche in relazione agli spazi che guadagnano altre artiste in ambito internazionale come, ad esempio, la scultrice Antonietta Paoli Pogliani.

Il regime diede un’approvazione talvolta fintamente distratta, talvolta ammiccante che favorí la confluenza di altri organismi sociali femminili nel grande alveo della organizzazione della Castellani, che aveva preso a radicarsi nel territorio con la fondazione dei primi circoli a Roma e, poi, a Napoli e a Milano, a partire dal 1929.

È, peraltro, importante  la nuova spinta propulsiva  che assume l’organismo dell’ANFDAL proponendo la tutela sindacale dell’attività delle donne;  e si aprono in tal modo nuove prospettive, evidentemente, anche per il protagonismo artistico.

Non scompare, però, in tutto questo, anche, un atteggiamento di tipo aristocratico che impone l’indirizzo delle attività attraverso l’intervento di figure prestigiose del regime o della aristocrazia nobiliare, come avviene, ad esempio, a Napoli, con la presenza della duchessa d’Aosta.

Antonietta Raphael e Marcella Ceravolo

Ciononostante, le donne artiste ampliano l’orizzonte della attività creativa, disancorandola dalla vecchia concezione che la pratica delle arti figurative potesse essere un ‘ornamento’ di giovani donne di ‘buona famiglia’, e cominciano a far sentire la voce del proprio protagonismo.

Un dato di rilievo è quello che emerge, ad esempio, dalla disamina del contributo artistico fornito dalla creatività delle donne documentata nei cataloghi delle Sindacali fasciste, che furono mostre espositive che non inibirono in via pregiudiziale l’accesso femminile, ma, anzi, furono un modo per le artiste che operavano nelle regioni più svantaggiate e decentrate per poter trovare canali di visibilità del proprio prodotto creativo.

L’analisi del contesto italiano ci suggerisce, comunque, di riflettere con molta attenzione su ciò che ebbe a determinarsi nel pieno della stagione fascista, valutando l’impegno artistico delle donne nella misura depotenziata che gli fu riservato, al di là del fatto che, complessivamente, nuovi spazi d’accesso venissero a liberarsi.

Interessante, infine, fu l’azione di alcuni artisti che seppero comprendere il ruolo della donna nel mondo delle arti: ricordiamo, in proposito, Emilio Notte, che, nell’Accademia di Belle Arti di Napoli, a partire dal 1929, svolse una azione di promozione notevole aggregando intorno a sé un gruppo di giovani allieve che avrebbe saputo far sentire alta la propria voce soprattutto all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Tra le molte della ‘scuola di Notte’, ricordiamo almeno la figura di Marcella Ceravolo.

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