In occasione del regista alla Festa del Cinema di Roma analizziamo il suo primo film: ‘Edward – Mani di forbice’

In occasione della celebrazione alla carriera di Tim Burton,alla sedicesima edizione della festa del cinema di Roma, ricordiamo uno dei suoi film Cult: primo lungometraggio ‘Edward Mani di Forbice’ del 1990 e distribuito in Italia il 24 aprile 1991.

Con questo film nasce il lungo sodalizio con l’attore Johnny Depp a cui affida il ruolo del protagonista. Johnny Depp è sicuramente il suo attore più rappresentativo e più amato. I due si conoscono nel 1990 quando a Johnny viene affidato il ruolo di protagonista nel film “Edward mani di forbice”. Da quel momento, lui diventerà il protagonista di tanti altri suoi capolavori.

L’attore descrive così il primo incontro con il regista: «All’appuntamento ad attendermi c’era un uomo pallido, dagli occhi tristi e dall’aria fragile, con una capigliatura che non era solo il risultato di una lotta con il cuscino, la notte prima… Durante questo incontro avevamo provato reciproco rispetto che si prova per una persona che senti non essere estranea. Ero sicuro che avremmo potuto lavorare insieme e che sarei riuscito a incarnare la sua idea artistica di Edward, se me ne avesse dato la possibilità. E così fu… ero stato insomma salvato da morte certa, dal mondo televisivo della produzione di massa, grazie a un giovane brillante ed eccentrico che aveva passato l’adolescenza a fare strani disegni, a sbattere la testa contro il muro a Burbank, a sentirsi pure lui strano ed emarginato (ma questo l’avrei scoperto più tardi). E’ riduttivo definirlo un regista. Il nome più impegnativo di “genio” gli si adatta meglio.”»

Burton crea il suo personaggio principale in onore del regista Edward D. Wood Junior. Il film è anche un omaggio all’attore Vincent Price, uno degli attori preferiti da Burton, che interpreta il ruolo dell’inventore di Edward.

Il protagonista del film incarna i sentimenti di isolamento e incapacità di comunicare con le persone intorno a lui, esattamente gli stessi che affliggevano Burton quando era giovane. Il regista ha dichiarato nelle sue interviste che da giovane era spesso solo ed aveva problemi con le amicizie:

«Avevo la sensazione che le persone avevano semplicemente quest’impulso a lasciarmi da solo per qualche ragione, non so esattamente perché».

Anche i luoghi dove il film viene girato hanno qualche associazione come l’infanzia di Burton; il cineasta ha affermato riguardo al film e alla scenografia: “Molto di essa rappresenta per me un ricordo della mia crescita in periferia. Non è un posto cattivo. È un posto bizzarro.”

Il film viene girato con diverse tecniche: live action (un film interpretato da attori in carne e ossa), Motion Capture (è il processo di acquisizione del movimento attraverso un sistema fotogrammetrico) e la Stop motion. Stili cinematografici degli anni Cinquanta, Sessanta e Ottanta sono combinati intenzionalmente nel film.

Il regista cita l’influenza del romanzo gotico inglese “Frankenstein” di Mary Shelley, del “Fantasma dell’opera” di Gaston Leroux, del “Gobbo di Notre-Dame” di Victor Hugo, di “King Kong”, “Il mostro della laguna nera” e alla leggenda francese de “La bella e la bestia”.

Abbiamo un collegamento visivo con i film horror degli anni Cinquanta come l’atmosfera gotica del castello e il ruolo di Vincent Prince che incarna il professore matto. Abbiamo un profondo studio di Charlie Chaplin, maestro del linguaggio non verbale, Depp in tutta la pellicola pronuncia solo 169 parole, è grazie a sguardi e piccoli gesti che riesce a trasmettere i pensieri del protagonista. Nel film vengono rappresentati visivamente, psicologicamente e stilisticamente due mondi completamente differenti, che si trovano a pochissima distanza l’uno dall’alto per quello che riguarda lo spazio, mentre moralmente sono ai poli opposti nell’universo.

Burton non crea un mondo “reale”. Ci sono elementi ripresi da una realtà familiare ma non è un tentativo di realismo, anzi è una parodia di un sobborgo americano quello che vuole sottolineare è la differenza del carattere tra i due mondi. Lo stile gotico e dark del castello dove vive Edward, e la cittadina risulta, invece, molto luminosa grazie a forti colori e alla presenza sempre costante del sole, ma la sensazione che evoca è quella di un paesaggio freddo, quasi finto.

Il carattere del mondo colorato è collegato all’ipocrisia e alla banalità della società, quella che sembra una cittadina felice e tranquilla è invece un groviglio di falsità e pettegolezzi. Anche se il castello si trova nella stessa cittadina, non viene mai raggiunto dal sole, sempre avvolto nell’oscurità. Solo il giardino si dissocia dallo stile del castello, è un luogo molto luminoso, perfettamente curato e specialmente molto colorato, un luogo che emana una forte sensazione di libertà. Il mondo gotico rappresenta l’ingenuità e la bontà di un animo che non è stato contagiato dalle falsità della società.

Nel film, Burton, mostra come il mondo avvolto nell’oscurità non è per forza il mondo “cattivo” e che le apparenze posso ingannare; ciò che esteriormente è colorato dentro può essere marcio, è ciò che sembra avvolto dalle tenebre può racchiudere dentro tantissimo (come la rappresentazione del giardino, che è nascosto dalla foresta, quello è il vero animo di Edward). Il protagonista più di ogni altro rappresenta al meglio una delle tematiche di Burton quella dell’outsider. Per prima cosa lui non è un vero uomo, ma è stato creato da un inventore e non può morire, per questo è profondamente diverso dalle persone della città.

È abbigliato in maniera molto particolare, vestito da una tuta di pelle lucida nera, con borchie e cinte, ha una capigliatura molto stravagante, spettinato e di un nero profondo, ha una carnagione molto pallida, con occhi marcati e infossati ed è pieno di cicatrici, ma soprattutto ha due paia di forbici al posto delle mani. Ma ciò che lo rende particolare rispetto alle persone è il suo essere molto buono, gentile, ingenuo e un po’ goffo, Edward non ha mai avuto contatti con il mondo esterno ed è per questo che il suo comportamento ed il suo abbigliamento non sono stati contaminati dalla banalità.

Il protagonista sia dal punto di vista fisico, che da quello mentale, non riesce ad integrarsi con il mondo, anche se in un primo momento viene accettato dalla società che sembra incuriosita da lui; in seguito notiamo come le persone facciano difficoltà ad accettarlo, perché le forbici che ha al posto delle mani lo rendono pericoloso, ogni volta che vuol toccare una persona finisce per ferirla e poi a causa del suo carattere molto ingenuo e si ritrovai nei guai. Edward si rende conto che i suoi tentativi di adattarsi alla società sono vani per cui decide di ritornare alla sua vita solitaria nel castello.

Il film inizia con una vecchia signora che racconta alla nipotina l’origine della neve come fiaba della buonanotte. Il protagonista della storia è uno strano ragazzo di nome Edward; un essere umano artificiale creato da un ingegnoso scienziato che morì prima di averlo ultimato. Ciò che manca a Edward per essere “normale” sono le mani, al posto delle quali ha due paia di forbici. Egli vive ormai solo in un castello in cima a una collina, emarginato dal mondo. Un giorno bussa alla porta Peggy Boggs, una rappresentante di cosmetici, dove trova un ragazzo solo e spaventato, la donna decide di portalo a casa, nella radiosa cittadina dove vive.

Il timoroso Edward viene accettato dalla gente, riscuotendo un buon successo grazie anche alla sua dote di giardiniere. Le cose cominciano ad andare male quando il ragazzo viene accusato di furto, incastrato dal ragazzo di Kim (figlia adolescente di Peggy), la ragazza di cui Edward è innamorato. Nella notte di Natale dopo una zuffa con il ragazzo di Kim, Edward viene cacciato dalla folla e ritorna nel suo castello tutto solo. La vecchia signora conclude la storia dicendo che è il ragazzo dalle mani di forbice a far cadere la neve nella città, scolpendo ogni inverno statue di ghiaccio.

Questo film è un cult della cinematografia, una favola struggente e romantica, si può amare universalmente nonostante le diversità, anche se non vissuto o condiviso come i due protagonisti.

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