Il titolo di questo articolo sembrerebbe quello dei tanti classici film western al quale gli americani ci hanno abituato nel corso dei decenni, invece non è così. È la triste e dura realtà che si staglia, sempre, nei confronti di coloro che sognano una vita diversa e pagano un prezzo altissimo. Dopo la bella storia del ragazzo vessato da alcuni sconosciuti all’uscita di scuola e protetto da alcuni bikers, in ‘Usa’, questa settimana, affrontiamo un argomento molto spinoso, per non dire estremamente divisorio.

La questione del confine tra Stati Uniti e Messico che, in questi ultimi giorni, è tornata ad avere l’attenzione di tutti i mass media per un episodio increscioso avvenuto, esattamente, tra lo Stato del Texas e il Messico. Il chiaro riferimento è il video in cui vengono ripresi alcuni agenti di frontiera a cavallo che sembrano frustare alcuni haitiani con l’intento di allontanarli.

Dalle immagini, però, pare che ad usare la frusta in maniera chiara e senza appello sia solamente uno degli agenti, ciò però non toglie l’abuso di potere degli stessi agenti a cavallo seppur mossi dall’intenzione di difendere i propri confini. “Ho visto alcune delle immagini, non ho il contesto completo ma non riesco ad immaginare quale contesto lo renderebbe appropriato”. Questo è il commento, quasi a caldo, rilasciato dalla portavoce della Casa Bianca Jen Psaki. Parole molto dure nel condannare l’accaduto.

Non è rimasto in silenzio neanche il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il quale ha affermato che questo episodio lede l’immagine della nazione e che ci saranno conseguenze in merito a quanto accaduto il quel punto della linea di confine; un punto che ha sempre destato alcuni periodi di attriti e di tensioni sociali anche fra le due nazioni in passato.

D’altronde solo qualche anno fa, per non dire un quadriennio fa, fu proprio il predecessore di Biden a gettare ulteriormente la benzina sul fuoco sulla questione migratoria negli Stati Uniti, annunciando l’edificazione di un muro che difendesse i confini dall’ondata di migratoria. Come detto la questione è un po’ più complessa e non è risolvibile facilmente.

Non bisogna neanche dimenticare che, storicamente, il muro venne costruito per la prima volta da George H. Bush, padre del Presidente all’epoca dell’11 settembre 2001 e che l’opera di completamento si deve, addirittura, al suo predecessore: Bill Clinton. Ciò significa che lo stesso Trump non aveva annunciato nulla di nuovo rispetto ai suoi predecessori i quali, furbamente, ci lavoravano in silenzio senza tanto clamore.

La problematica principale, però, contrappone due esigenze legali, per non dire anche sociali, e che, in tutto questo tempo, per non dire decenni, sono state sempre cristallizzate, erroneamente, con la politica a trecentosessanta gradi.

La prima è quella rappresentata della difesa dei confini, superati non solo da gente disperata e che scappa da situazioni altrettanto disperate, ma anche da parte di persone senza scrupoli come i narcotrafficanti che li usano per far passare la merce illegalmente. Ciò, però non significa che tutti i messicani o haitiani o altre etnie sono di fatto dei trafficanti di droga, al contrario.

Perché dall’altro lato, invece, sussiste anche l’altra necessità, altrettanto sociale, che è quella della difesa dei diritti umani. Con questo stiamo facendo riferimento a tutte quelle persone, disperate, che scappano da situazioni molto complicate: come povertà nei territori in cui sono nati, dittature ed altre situazioni. Purtroppo, in questi viaggi della speranza, per queste persone, si trasformano sempre in gironi dell’inferno, soprattutto quando finiscono nelle mani dei trafficanti di migranti. Due problemi, due questioni spinose che negli ultimi decenni sono diventati ingestibili per diversi ordini di ragioni cristallizzate dal vortice della politica, come già detto, trascendendo la vera natura sociale del problema.

Da un lato si fa notare come l’accoglimento a priori sia una questione di mera civiltà; dall’altra, invece, si fa notare che chi entra può farlo ma non illegalmente. Sempre in merito a tale questione si è anche espresso il Segretario di Stato americano Blinken, affermando che in questo momento non sia il periodo migliore per entrare negli Stati Uniti, rinviando la possibilità di ingresso per tutti coloro cha accarezzano l’idea e la speranza del sogno americano; mai venuto meno neanche in questo ventennio difficile per la nazione a stelle a strisce.

Il problema, però, appare ancor più complicato di quello che sembra. Fino a quando ci saranno sempre due schieramenti politici che si fronteggeranno, anteponendo le loro visioni prettamente ideologiche nei confronti dell’avversario politico, non si andrà da nessuna parte. Si dovrebbe ritornare ad analizzare il problema solo dal punto di vista sociale e non politico. Ma ciò non vale solo per gli Stati Uniti d’America.

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