Sono trascorsi 44 lunghi anni dalla morte di Elvis Presley, Re del Rock, e tre anni dalla scomparsa di Aretha Franklin, Regina del Soul. Il mondo della musica, in questi anni, ha sempre cercato di cercare e attribuire il titolo ‘regale’ a potenziali eredi, senza mai trovare colui o colei che meritasse tale intitolazione. Certo, per la Lady of Soul ci vuole ancora tempo, in fondo un triennio e come dire ‘ieri’. Per Elvis, invece, sono quasi quarantacinque anni che fungono da mezzo secolo; il cui mezzo secolo funge quasi il doppio: cento anni. Praticamente un’era fa. Come un’era fa valeva anche per Aretha Franklin quando mosse i primi passi nel mondo delle sette note.

Nominare possibili eredi, nominare cantanti che siano o che sono in grado di reggere la loro eredità, al momento, è difficile trovarli. Non solo perché si entra nel tipico discorso dell’epoche o della musica differente rispetto ad altri decenni e quale sia la migliore; ma perché è mutato il mondo di ciò che un tempo veniva identificato come showbusiness.

Oggi ci sono i reality a far da padrone e non sempre da questi emergono grossi talenti puri, naturali, semplici e spontanei proprio come queste due personalità che abbiamo cercato di far rivivere. Normale credere che ogni cantante ha il proprio talento e la propria potenza scenica e che, quest’ultima caratteristica, si sia persa attraverso l’omologazione. Forse, giustamente, perché ormai tutto quello che c’era da proporre è stato proposto, un po’ come nel cinema che è ormai invaso da serie di rifacimenti nemmeno pari agli originali. Vuoi anche che le note sono sette e oltre quel limite non si può andare.

Quello stesso limite, però sia da parte del Re che della Regina, è stato ampiamente superato. Si sente dire, quando si parla magari con qualche nonno o qualche genitore, che l’epoca in cui loro conquistavano il mondo a suon di note si era usciti dalla tragedia del secondo conflitto mondiale. C’era voglia, dunque, di vivere, di ricominciare, di riappropriarsi del mondo e di ricostruirlo lasciandolo, inavvertitamente, pieno di ricordi e ricordi indelebili sono poi diventati loro per ognuno di noi, senza dimenticare tanti altri cantanti che c’erano all’epoca e che sono venuti quasi dopo la loro era.

Del biopic dedicato ad Aretha Franklin ne abbiamo parlato e anche su Elvis è in arrivo qualcosa sul grande schermo. Si dovrà attendere, però, l’anno prossimo, esattamente il 3 giugno del 2022, quando vedremo il film sulla sua storia, con Tom Hanks nei panni del misterioso Colonnello Tom Parker. Nei panni del cantante invece il trentenne Austin Butler.

Avviandoci alla conclusione semmai vogliamo cercare una sorta di spiegazione logica al successo, cosa impossibile perché lo stesso non presenta regole fisse sennò sarebbe tutto troppo semplice, si potrebbe andare a pescare attraverso l’etimologia del termine: Re. Il termine è da ricondursi dal verbo latino, regere, che semplicemente significa ‘governare’. Dal sanscrito, invece, possiamo, trovare un’altra accezione ancor più metaforica al discorso che stiamo facendo: ovvero risplendere.

Infatti loro due, tra mille difficoltà personali e pubbliche, hanno fatto risplendere non solo se stessi ma anche ciò che rappresentavano, quindi la loro musica e quel tipo di sound, che si era unito in maniera indissolubile alla loro soave anima. Certo, più angelica Aretha Franklin rispetto ad Elvis Presley, quest’ultimo più trasgressivo e capace di attirare folle di giovani, mentre la Regina le ha incantate con la sua voce divina.

È difficile accettare, forse anche per la carenza di personalità di tale spessore nei talenti di oggi, che loro due non ci sono più. Il tempo era trascorso per la Regina ed era inevitabile e nel riascoltare le sue canzoni c’è una gran voglia di riportarla tra di noi; almeno ancora per qualche anno. Stesso discorso per il Re ma la sua scomparsa è sempre legata al mistero del fatto se sia venuta o meno. In questo caso la non accettazione è legata alla giovane età: 42 anni; si in effetti troppo poco, ma come abbiamo detto prima era ormai la brutta copia di sé stesso. Incapace di reinventarsi: perché Elvis Presley era indissolubilmente legato all’epoca in cui era uscito.

In quei due cortei funebri c’era tutta la voglia da parte dei fans di non staccarsi da loro; c’era tutta la voglia di non veder, e quindi di non accettare, la fine dei loro regni musicali che equivaleva alla fine di epoche musicali a parte rispetto alle altre. Perché tutto inizia e tutto ha una fine, ma il loro ricordo sarà eterno; hanno lasciato un’impronta troppo profonda.

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