Con la fine della seconda guerra mondiale si aprono nuove opportunità di sperimentazione artistica e si afferma una cultura creativa che disarticola il concetto di ‘forma’, producendo, appunto, un’arte ‘informale’*

È molto difficile definire con puntuale certezza il momento d’avvio di una pratica informale, che si afferma con pienezza negli anni del secondo dopoguerra, avendo trovato, però, anticipazione, già durante gli anni di prima metà secolo, in una cultura artistica votata al privilegiamento della pregnanza materica e della vocazione aniconica.

Di fatto, c’è una produzione che si svolge tra inizio secolo ed anni ’40, che si lascia apprezzare per una visibile sensibilità materica – si pensi, ad esempio, a Casciaro (artista vivamente materico, ma anche vivamente figurativo) o ad Alfieri (materico e in atteggiamento critico nei confronti della restituzione figurativa) – e tale produzione va giudicata come un antefatto, un préalable, della pratica propriamente informale che si sviluppa con pienezza solo a partire da dopo la fine della seconda guerra mondiale, andando a collegarsi idealmente, peraltro, con qualche esperienza astratto-materica, come quella dei ‘Jeunes Peintres de la tradition française’ e, non meno, con quelle di carattere ‘nucleare’ e con quelle sperimentali di qualche gruppo (come quello dei ‘Distruttivisti-Attivisti, o dei Circumvisionisti) che già dagli anni ’20-’30, avevano suggerito un abbrivio materico-aniconico.

L’Informale rinuncia alla forma, ad una forma, almeno, intesa in termini di definibilità nominalistica, anche se può osservarsi che  non occorre indispensabilmente escludere  una sua consistenza ‘naturalistica’, come ben si studia di spiegare  Francesco Arcangeli che provvederà a suggerire come convincente appellativo quello di ‘Ultimi naturalisti’ che egli riserva ad un manipolo di artisti che producono una ricerca di netto sapore informale: Ennio Morlotti, Pompilio Mandelli, Sergio Vacchi, Vasco Bendini, Sergio Romiti, Mattia Moreni.

Nella ricerca informale – rispetto alle logiche, anch’esse aniconiche, della pratica ‘nuclearista’, caratterizzata da preterintenzionalità creativa e dall’esondazione di flusso – si afferma la centralità dell’impegno gestuale come manifestazione di un orientamento che è, però, più di carattere ‘espressivo’ che non propriamente ‘attuativo’. Ciò significa aver conto che ‘espressivo’ vuol dire capacità di liberare energie con una esternazione che è visibilmente  eslege, a differenza della misura controllata e contenuta propria d’un orientamento ‘attuativo’.

Tapié, in un suo celebre intervento  del 1951, conia la definizione di ‘informale’ che indica  un processo in cui le immagini prodotte con questa particolare sensibilità espressiva, non essendo individuabili con nomi propri, non potevano che essere riconosciute prive di una forma: cioè ‘informali’, utilizzando, in tal modo una definizione ‘al negativo’.

Maurizio Calvesi nel 1963, dopo oltre un decennio dalla affermazione del portato dell’innovazione informale, sostiene che “L’informale scaturisce da una tradizione d’avanguardia, pur proponendosi come superamento delle avanguardie storiche; si presenta come un’evoluzione di ricerche distese e diramate nel tempo, con esplosioni anche abbastanza clamorose e improvvise, che tuttavia hanno alle spalle un sufficiente periodo di incubazione e di maturazione”.

Ci si può chiedere se – sul piano storico – l’informale possa essere considerato come il prodotto delle esperienze drammatiche prodotte dagli eventi della seconda guerra mondiale, ed è questo un interrogativo cui ci convince a rispondere affermativamente la testimonianza storica di autori come Jean Dubuffet e Jean Fautrier (Otages, 1943-45) che nel pieno del decennio dei ’40 suggerivano la via di un vitalismo reattivo.

È molto significativa la sensibilità creativa che scorgiamo nell’impegno di artisti come Wols (il tedesco Wolfagng Schulze), Pierre Soulages, Georges Mathieu, Hans Hartung, Nicolas de Staël, Antoni Tàpies, Alberto Burri, Emilio Vedova, Renato Birolli, Mattia Moreni ed altri ancora che appaiono accomunabili più sul piano contenutistico che non per gli accenti e le cadenze gestuali che attivano linguaggi profondamente personali, che, però – occorre soggiungere – non impediscono di scorgere che un sottile fil rouge accomuna le loro rispettive prestazioni creative. In qualcuno (Wols, ma non solo) è apprezzabile anche una sottile latenza nucleare.

Né sarà sbagliato soffermarsi ad osservare come, qua e là sia possibile ritrovare, ad esempio, nelle stesse sensibilità di Fautrier, come di Dubuffet o di Birolli o di Spinosa (Macchina da cucire, 1952), un sottile rimando alla oggettualità delle cose.

Artisti come Hartung o lo stesso de Staël, poi, lasciano trasparire ciò che noi definiamo una  ‘latenza di riconoscibilità di una intelligenza compositiva’, da intendere come armonia discrezionale della forma (Hartung) o di linearismo astratto-geometrico (de Staël), che, complice la stessa pittura di Serge Poliakoff, sembra collegarsi e riprendere il preannuncio che avevano fornito gli artisti noti come ‘Jeunes Peintres de la tradition française’ e di cui aveva già fornito qualche utile preannuncio l’opera stessa di Frantisek Kupka.

Abbiamo citato, precedentemente, la definizione di ‘naturalistica’ che rende Francesco Arcangeli per alcune pratiche creative di ordine informale e confronteremo questa posizione con un altro orientamento critico, quello di Lionello Venturi, intorno al quale si aggrega tra il ’52 ed il ’54, un gruppo artistico, che vede principali attori Afro Basaldella, e Renato Birolli, e che comprendeva Antonio CorporaMattia MoreniEnnio MorlottiGiuseppe SantomasoGiulio TurcatoEmilio Vedova, artisti sostanzialmente provenienti dall’esperienza del ‘Fronte Nuovo delle Arti’.

Venturi, individua in questi artisti una istanza astrattista di fondo che si arricchisce di pregnanza materica e tale orientamento critico consente di capire meglio le ragioni della leggibilità dell’Informale come continuazione dalle Avanguardie, che sosterrà  Calvesi nel ’63, e di cui abbiamo dato precedentemente testimonianza.

Queste le radici dell’Informale: il resto sarà, poi, lo sviluppo progressivo che questa corrente avrà nel corso di tutti i decenni della seconda metà del ‘900, protraendosi con ulteriori manifestazioni produttive nell’arco stesso dei primi decenni del 2000.

*  Si tenga conto, sul tema, del nostro precedente contributo dal titolo ‘L’aniconismo informale e nucleare’ comparso in questo stesso conteso di “FreeTopix Magazine” alla data del 11 marzo 2021.

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