Il 21 luglio del 1951, a Chicago, nasceva l’indimenticato Robin Williams e la sua scomparsa, avvenuta, l’11 Agosto del 2014, ha lasciato un vuoto che ancora oggi rimane incolmabile nel mondo del cinema. Sicuramente è stato uno degli attori più talentuosi e poliedrici della storia del cinema. Difatti, sono innumerevoli e diverse le sue interpretazioni, dal professore sognante in Carpe Diem alla tata mrs Doubtfire, per arrivare anche alla divertente voce del Genio in Aladin. Insomma, possiamo dire che il genio di Robin Williams sia rimasto impresso in tutti noi, dai bambini agli adulti. Ad ognuno di noi, quando pensa al famoso attore, viene in mente il film del cuore che lo vede come protagonista. Uno di questi è sicuramente: Jumanji.

“Nella giungla dovrai stare, finché un 5 o un 8 non compare”, chi non si ricorda questo indovinello?”

A tutti è capitato di essere tanto assorti da un gioco da volerci entrare dentro. È proprio quello che succede al nostro Robin dopo aver letto questa frase su una bolla di vetro.

Nel 1869 due bambini, spaventati, sotterrano un baule in mezzo alla foresta. Esattamente un secolo dopo l’adolescente Alan Parrish, figlio di un imprenditore severo, dopo essere stato attaccato da alcuni bulli, sente un suono di tamburi, che lo guida in un terreno dove trova un baule. Al suo interno il ragazzo trova un gioco da tavola: Jumanji.

Quella sera stessa, Alan ha un’accesa discussione con il padre, Samuel, il quale vorrebbe mandarlo a studiare in collegio. Rimasto solo in casa, il giovane chiama la sua amica Sarah Whittle e i due iniziano a giocare al gioco da tavola. Scopriranno, a loro spese, che Jumanji non è un semplice gioco. Al primo lancio di dadi di Sarah, appaiono degli strani pipistrelli, mentre quando Alan lancia i dadi, viene magicamente risucchiato dal gioco e solo il lancio di un cinque o un otto dei dadi lo potrà fare uscire. Sarah terrorizzata dalla scomparsa dell’amico, scappa via, inseguita dai pipistrelli usciti dal gioco.

1995: sono trascorsi 26 anni dalla scomparsa di Alan. La villa dei Parrish, ormai in rovina, viene affittata da Nora e i suoi nipoti, ora orfani, Judy e Peter. I due bambini risentono fortemente del trauma della perdita dei genitori, tanto che Peter non parla più, mentre Judy inventa bugie. Ben presto i bambini scoprono l’inquietante storia che volteggia sulla loro nuova casa: si racconta che Sam Parrish abbia ucciso il figlio Alan e poi abbia nascosto il corpo fatto a pezzi nella villa. Una notte i bambini sentono lo strano rullio di tamburi provenire dalla soffitta e, seguito il suono, trovano il gioco Jumanji. Inutile dire che attratti dalla particolarità della scatola e del gioco in sé, i fratelli iniziano a giocare. Tuttavia la loro non è una nuova partita, continuano inconsapevolmente, quella iniziata da Alan e Sarah 26 anni prima.

Come nel passato, ogni volta che i ragazzi lanciano i dadi, qualcosa si materializza in casa, dalle api ai leoni. Al turno di Peter, i dadi segnano un 5. Improvvisamente, si materializza un uomo barbuto vestito di foglie. Altri non è che Alan, ritornato alla realtà. Dopo un primo momento di felicità e stupore per essere tornato a casa, Alan capisce che la sua realtà è totalmente diversa da come l’avrebbe immaginato, in quanto la sua scomparsa è stata una tragedia per i suoi genitori, ormai defunti. Giunge anche alla conclusione che se finirà il gioco, le cose potranno cambiare. Ora bisognerà trovare Sarah, fondamentale per finire la partita. Inizierà una lunga avventura per riuscire a riportare tutto alla normalità: il gruppo dovrà affrontare le insidie della giungla e fuggire da un cacciatore che, uscito dal gioco, darà la caccia ad Alan. Riusciranno a porre fine all’incubo e rimettere tutti i tasselli al proprio posto?

Jumanji porta la firma alla regia di Joe Johnston, abile nell’intrattenimento, utilizzando schemi diversi ogni volta. Il regista ha firmato altri due film ancora presenti nelle nostre memorie da bambini: Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi e Pagemaster, nel quale animazione e live action si mescolano. Soprattutto per questo genere, dunque, Johnston è sinonimo di garanzia.

Jumanji si basa sull’imprevedibilità di quello che uscirà dal gioco e sull’interesse nel vedere elementi tipici dell’ambiente della giungla. Ogni animale o pianta selvatica lascia lo spettatore stupito, considerate anche le grandi avventure che il gruppo incontra. Infatti, ogni elemento che esce fuori gioco, siano animali o piante, sono non solo spaventosi e realistici, ma allo stesso tempo, belli da vedere e ben curati. Gli effetti speciali sono funzionali e, ancora oggi, possiamo dire che riescono a superare la prova del tempo. Con la solo eccezione delle scimmie, forse ancora poco realistiche, ogni animale e piante che esce fuori dal gioco da tavolo risulta sempre ben fatto e colorato. Questo è uno dei motivi per cui Jumanji è ancora oggi bello da vedere.

Alcuni sostengono che la sceneggiatura del film è banale e ripetitiva, per l’assenza di forti colpi di scena. Sappiamo però che una pellicola per essere buona, non ha bisogno per forza di particolari colpi di scena, neppure se parliamo di un film d’avventura per ragazzi. Contano altri elementi, come lo sviluppo dei personaggi, la coerenza della storia e le tematiche. Elementi ben presenti all’interno di Jumanji. Vi sono delle battute e situazioni che, ancora oggi, innescano facilmente la risata, come le scimmie che guidano la motocicletta della polizia, il leone spaparacchiato sul letto o le reazioni iconiche del poliziotto.

Inoltre, nonostante sia un film per ragazzi, affronta tematiche importanti. Prima fra tutte il rapporto genitore figlio. Alan e suo padre Sam hanno difficoltà a capirsi e comprendersi. Samuel si dimostra poco aperto nei confronti del figlio, il quale è a sua volta ostile e non ha nessuna intenzione di riallacciare un rapporto che si sta logorando affettivamente. Infatti, Alan giura al padre di non volergli più parlare, gesto che comporta sicuramente una poca maturità, tipica degli adolescenti. Da ragazzi preferiamo sicuramente rifiutare il confronto, che averlo, senza pensare ancora che scontrarsi con chi ha opinioni discordanti è solo arricchimento. Quasi come una pena del contrappasso, il destino o forse Jumanji stesso, punisce Alan e gli impartisce una lezione.

Tornato alla realtà, Alan dovrà ancora affrontare i demoni del suo passato. Non è una casualità che il cacciatore Van Pelt, suo nemico giurato nella giungla, altri non sia che l’attore che interpreta anche suo padre (Jonathan Hyde). Quasi come se Van Pelt e Samuel fossero la stessa persona e venissero percepiti dal protagonista come elemento di scontro. Alan corre via dalla sua nemesi, finchè non si decide ad affrontarla e solo allora guarda finalmente in faccia ciò da cui è fuggito per 25 anni.

Così come Alan, anche Judy e Peter scappano. La morte dei genitori li segna profondamente e causa una rottura dentro il proprio animo che nessuno vorrebbe mai provare. Come reazione, Judy inventa bugie sui suoi genitori, Peter fa finta di essere muto. Ovviamente i bambini dimostrano di essere quello che sono, infantili nell’affrontare un trauma. Non accettano la realtà, sono stanchi e tristi. Così come per Alan, anche loro in questa fase di tristezza, sentono il rullo dei tamburi, come se il gioco chiamasse chi è in difficoltà. Il gruppo gioca, e rischia di perdere tutto. Cosa può salvare questi personaggi?

Il gruppo si affida alla speranza che probabilmente tutto finirà se uno di loro vincerà la partita. Di conseguenza, la causa comune diventa motivo di lotta comune e supporto l’uno dell’altro, per far sì che si giunga alla vittoria. Non abbiamo più le regole tradizionali del gioco “uno contro l’altro”, ma in questo caso è tutto sovvertito: giochiamo insieme contro il gioco stesso. Proprio questo permette il lieto finale e la crescita di tutti i personaggi. Ognuno di loro cresce, cambia, matura e comprende che non ci si può chiudere a riccio, ma i problemi vanno affrontati di petto.

Robin William regna sulla pellicola, creando un personaggio amato e iconico. È perfetto nell’interpretare il bambino cresciuto uscito dalla giungla, che si trasforma in un uomo adulto in tutto e per tutto. Anche Bonnie Hunt è perfetta del ruolo di Sarah, medium con anni di psicoterapia alle spalle, ma allo stesso tempo divertente ed esuberante. Difatti, sia in Sarah che in Alan assistiamo a una mutazione interessante. La prima è all’inizio spaventata da tutto ciò che la circonda, pian piano matura, diventa un supporto per tutti e con coraggio difende Alan. Quest’ultimo, da adulto ancora immaturo, diventa un uomo vero e proprio con la maturità e la riflessione necessaria. Bravissima anche la piccola Kristen Dunst che all’epoca aveva solo 13 anni e che poi farà un’interessante carriera.

Insomma, Jumanji è un film d’avventura e non solo, parla della crescita personale, del lutto, delle paure, contornate da una storia diversa e divertente. Per certi versi Jumanji non invecchia mai, così come il suo protagonista principale, Robin, che tanto ci manca. Per celebrarlo in quello che doveva essere il settantesimo compleanno, non si può non guardare Jumanji.

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