Intervista alla vedova del grande scrittore scomparso il 4 luglio del 2014

Ve lo avevamo anticipato venerdì scorso: uno speciale dedicato a Giorgio Faletti, nel giorno del settimo anniversario della sua scomparsa; avvenuta il 4 luglio del 2014. Uno speciale composto non diversi articoli ma da un’unica e lunga intervista alla persona che gli è stata vicino negli ultimi anni della sua vita: Roberta Bellesini, sua moglie. L’abbiamo ‘incontrata’ telefonicamente e lei ci ha risposto cordialmente e con tanta voglia di parlare di Giorgio ci ha aiutato a scoprire forse, in maniera indiretta, il segreto della sua ecletticità mostrata in tutta la sua carriera.

Come tutti sanno Giorgio Faletti iniziò come cabarettista nel ‘Derby’, lo storico locale di Milano, per poi sfondare con il ‘Drive in’, senza mai tralasciare alcune sue passioni che lo portarono a non essere etichettato o comunque collocato in determinato settore del mondo dello spettacolo. Sconfinò anche nella scrittura, attività che gli fece raggiungere vette inimmaginabili: come condividere le classifiche mondiali di bestsellers con i grandi nomi della letteratura.

Di ciò si meravigliava anche lui. Affermava che non sarebbe mai riuscito a scrivere come i grandi che ammirava, come Stephen King o altri. Invece non ha mai sfigurato, anzi, ha spiazzato tutti: pubblico e critica, sempre. Specialmente quando si presentò a Sanremo facendo pensare che avrebbe portato un brano ironico, poi sappiamo cosa intonò.

In questi ultimi giorni è rimbalzata la notizia, piacevole, che nel palazzo in cui Giorgio era nato ad Asti, in corso Torino 133, è stata affissa una targa in suo onore. La nostra intervista con Roberta Bellesini parte proprio da qui e lei ci racconta come tutto sia nato; come questa iniziativa sia diventata finalmente realtà.

Questa iniziativa è nata, in realtà, da un’idea di una mia amica che si chiama Renata Sorba; la cui famiglia e la cui madre aveva conosciuto Giorgio da piccolo. Abitavano nel corso dove si trova appunto la casa sua Natale. Questa signora le faceva da babysitter e tra loro era rimasto un legame affettivo. S’incontravano, chiacchieravano e ricordavano di quando era bambino, si raccontavano aneddoti. La signora è venuta a mancare praticamente nello stesso anno in cui è venuto a mancare Giorgio e quindi Renata, che abita ancora in quel corso, insieme ad amici di famiglia di Giorgio e che abitano tutt’ora in quella zona hanno pensato che fosse una bella cosa mettere una targa sulla casa”.

Nel risponderci, Roberta Bellesini ci parla del palazzo. Di come sia ancora abitato ma non dai parenti della famiglia di Giorgio e del fatto che la sua nascita non era avvenuta in ospedale. Ci precisa che la nascita era avvenuta in quella casa perché, fortunatamente per l’epoca, non c’erano stati problemi particolari. Si sofferma anche su un altro aspetto: sul nome della strada, Corso Torino. Il nome deriva trae origine dal semplice fatto quella strada statale, situata in una zona periferica della città, porti direttamente verso il capoluogo piemontese.

Poi ritorna a parlare del motivo dell’iniziativa: “Giorgio ha vissuto molto intensamente la sua adolescenza in quella zona della città. Era un ambiente nel quale è cresciuto e nel quale si è formato anche dal punto di vista del carattere, comprese le sue inclinazioni dal punto di vista artistico. Era circondato da persone che si dilettavano a sonare strumenti musicali nelle bande dei paesi o magari avevano dei piccoli complessi musicali. Oppure erano persone che amavano moltissimo il racconto, la barzelletta, il racconto umoristico. Quindi diciamo che Giorgio ha assorbito quell’ambiente diciamo molto casalingo, molto ‘fai da te’, genuino. E il fatto la casa Natale testimonia quanto sono state importanti le sue origini per la sua formazione, soprattutto in questo senso”.

Ecco il primo indizio di come il futuro comico, attore, cantante, scrittore avesse interiorizzato quelle capacità per poi mostrarle con leggerezza e semplicità al pubblico italiano. Nell’articolo che pubblicammo lo scorso novembre, poi riproposto l’altro ieri, abbiamo posto l’accento di come, negli anni precedenti, la sua memoria non venisse considerata come meritava. Anche su questo particolare Roberta Bellesini ci risponde, svelando il vero motivo per cui negli anni passati Giorgio Faletti venisse apparentemente poco ricordato.

“Ci sono state tante proposte di autori televisivi con lo scopo di organizzare una serata commemorativa. Idee che poi in realtà non si sono mai concretizzate. Nel senso che venivo contattata, venivo messa al corrente di questo desiderio di realizzare ma i meccanismi della televisione, alle volte, sono talmente contorti” poi continua, spiegando lei come ha tenuto vivo il ricordo di suo marito in tutti questi anni: la televisione non è un ambito che relativamente frequento, ho sempre lavorato in ambito editoriale negli anni successivi. Con la Baldini & Castoldi, con la Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi e abbiamo fatto delle belle cose. Poi ho lavorato nell’ambito cinematografico, perché la settimana scorsa è uscito su Sky e in prima visione, il film tratto dal suo romanzo ‘Appunti di un venditore di donne’, prodotto da Luca Barbareschi.

Adesso con De Laurentiis sto lavorando al progetto di una serie tv su ‘Io Uccido’. Ho lavorato anche in ambito teatrale, producendo uno spettacolo teatrale che scrisse Giorgio ‘L’Ultimo giorno di sole’. L’ho portato in giro per l’Italia e sono andata anche a New York con quello spettacolo. Gli hanno dedicato molti festival, soprattutto di letteratura noir, di thriller e dedicato delle edizioni. Dal punto di vista letterario cinematografico si è fatto molto, dal punto di vista televisivo è vero non si è fatto moltissimo, anche se devo dire ultimamente le trasmissioni che hanno omaggiato anche altri autori che sono mancati in questi anni, devo dire, non ho visto grandi cose, quindi tutto sommato che fare una cosa non bella meglio non farla”.

In effetti non ha tutti i torti. È meglio così per alcuni aspetti ma quando si pensa a lui appare inevitabile tornare alla mente ai suoi personaggi, quelli creati per ridere, quelli che proponeva nelle trasmissioni comiche come il ‘Drive in’, ‘Emilio’ e tante altre. La nostra curiosità cade su uno in particolare: il mitico, e lasciatecelo dire anche, il leggendario ‘Vito Catozzo’, il vigilante del ‘Drive in’ sbruffone e simpatico. Nel svelarci questo particolare ride un po’ anche lei.

Vito Catozzo era nato in quanto Giorgio già viveva a Milano in quegli anni e c’era una guardia giurata della banca dove Giorgio aveva il conto. Era una sorta di ‘Vito Catozzo’ praticamente: sia fisicamente, sia nel modo di parlare anche un po’ sbruffone. Quindi era nato da quella guardia giurata e poi Giorgio l’aveva caricaturata nei semplici dettagli caratteriali, esaltandoli a tal punto da farlo diventare un personaggio da cabaret. Ecco però tutti i personaggi di Giorgio prendevano spunto da persone che aveva incontrato e lui poi gli elaborava. C’era sempre qualche spunto che aveva colto dalla realtà”.

Sempre in quegli anni ci fu un altro personaggio, forse anche una specie di imitazione, che lo stesso Giorgio provò a proporre senza però che diventasse, come si usa dire nel gergo musicale, un suo cavallo di battaglia. La parodia di Loredana Bertè nel periodo in cui la grande cantante si sposò con il tennista Bjon Borg.

Lui conosceva Loredana Bertè ed erano anche amici. L’unica cosa che Giorgio, anche se era piuttosto bravo, non prediligeva in modo particolare le imitazioni. Preferiva creare personaggi dal nulla. L’aveva fatta perché sicuramente era un personaggio divertente, ma non aveva abbastanza respiro per diventare un personaggio da cabaret. I suoi personaggi avevano quasi una vita propria. Forse non era neanche abbastanza corretto è durato poco per quel motivo lì”.

A questo punto appare normale chiederle come lo ha conosciuto e come poi è iniziata la loro vita insieme: “Ci siamo conosciuti nel 2000, più o meno in questo periodo perché c’erano gli Europei di calcio. Eravamo a casa di amici comuni che avevano organizzato la classica spaghettata per vedere la partita insieme, quindi ci siamo conosciuti nella maniera più italiana che non si può immaginare; insomma, cioè con un piatto di spaghetti guardando la partita di calcio”.

Si, è vero: avremmo potuto continuare sull’argomento, chiedendo magari se Giorgio Faletti era appassionato di calcio e semmai tifava per qualche squadra in particolare. Invece abbiamo preferito scoprire com’era caratterialmente: “Era una persona che mostrava sempre grandissimo entusiasmo per la vita, il suo lavoro, la condivisione con gli amici. Era un eterno entusiasta e infatti quando ci siamo conosciuti lui stava terminando di lavorare ad un album che s’intitolava ‘Nonsense’, con una serie di canzoni nuove. Ed era molto contento, molto soddisfatto del lavoro che era stato fatto e mi raccontava delle canzoni che aveva scritto: come un ragazzo quando scopre una cosa nuova e che ha tutto l’entusiasmo dell’adolescenza. Fu anche questo il motivo per cui fui conquistata da lui, proprio per questo entusiasmo nei confronti della vita, delle cose, insomma…”.

In questa risposta c’è tutto quello che in realtà avremmo voluto scoprire. Ovvero quello che in realtà abbiamo cercato di capire nei confronti di un mostro sacro che è passato facilmente da un settore del mondo dello spettacolo all’altro, e non solo, senza mai sbagliare un colpo. Sempre con semplicità e fatto, come più volte ha sottolineato Roberta, con entusiasmo. Un entusiasmo che metteva in tutto quello che faceva. Era questo il suo vero segreto.

Non chiederle, però, di come fosse nato il primo romanzo sarebbe equivalso come ad un delitto, proprio come quelli descritti nei suoi appassionati romanzi: “Lui voleva scrivere un romanzo, ma aveva già scritto dei racconti che poi diventeranno un libro dal titolo ‘Pochi inutili nascondigli’ e amava molto Stephen King. Quindi aveva scritto questi racconti con la componente horror, soprannaturale e li fece leggere ad un suo amico scrittore che gli disse: ‘sono ben scritti perché non li fai leggere ad un editore?’. E così fece. E l’editore gli disse: ‘sono ben scritti, solo che in Italia per i racconti non c’è un mercato esagerato, se tu hai l’intenzione di scrivere un romanzo magari ne riparliamo’. Da lì nacque ‘Io uccido’ e si decise di scrivere un romanzo e che poi fu pubblicato dallo stesso editore che gli disse di scrivere un romanzo”.

Si potrebbe dire che il suo primo successo letterario quasi per caso, ma non fu solo un colpo di fortuna come poi ha dimostrato nel corso degli anni con le altre trame pubblicate. Però il successo come lo viveva? Nel domandarlo scopriamo un ulteriore Giorgio Faletti un po’ inedito: “Un pochino lo inquietava, soprattutto perché era molto autocritico e comunque quando usciva con un lavoro lo faceva solo quando era soddisfatto di quello che aveva fatto”.

Aggiunge anche: “Quando diventi famoso velocissimamente, perché lui ha avuto una parabola incredibile, alle volte richiami tanto invidie. Questa era la cosa che pativa di più. Nel senso non era invidioso di nessuno, ammirava le persone ed era ammirato dalle persone che avevano successo o che erano bravi attori, bravi scrittori. Quando aveva l’occasione non perdeva tempo nel complimentarsi. Quindi lui non ha mai avuto invidia, mentre nei suoi confronti un po’ d’invidia, un po’ di cattiveria, un po’ di cose non vere che sono state dette” le ha subite, continuiamo noi.

L’ultima domanda è inevitabile, ci riporta alla sua ultima fatica. A quell’Ultimo giorno di sole che uscì postumo e che, forse, avrebbe portato lo stesso Giorgio ad intraprendere una strada diversa dalla carriera letteraria che aveva percorso fino a quel momento. Invece: “No, in realtà aveva un’idea per un romanzo successivo. Semplicemente aveva bisogno di non annoiarsi. Fare cose diverse alternandole per poi non cadere nella ripetitività. Si ricordò di avere in mente da qualche tempo questo spettacolo teatrale, di scrivere il testo e di voler fare anche la regia per sperimentare il teatro anche dal punto di vista registico, ma comunque avrebbe ripreso a scrivere un nuovo libro. La scrittura non l’avrebbe abbandonata sicuramente”.

Si, non l’avrebbe mai abbandonata anche perché ha sempre fatto parte della sua vita. Torniamo per un momento gli sketch ideati, la canzone che presentò al Festival di San Remo e non solo quella, a tutti i suoi romanzi e anche qualche sceneggiatura. Erano il frutto del suo genio e della capacità di reinventarsi sempre, attraverso un’unica attività: lo scrivere. È proprio vero allora quello che disse di lui un famoso autore di bestsellers: Jeffrey Deaver: uno come Faletti dalle mie parti si definisce ‘larger than life’, ‘uno che diventerà leggenda’. In effetti se si osserva tutta la sua carriera non si può che condividere le parole del giallista, perché uno come Giorgio Faletti ne nasce ogni cento anni ed è difficile trovarne dei possibili eredi.

foto di Paola Malfatto

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