E’ bastato che Shonda Rhimes, la creatrice di Grey’s anatomy una delle più longeve fiction americane nonché un cult per gli amanti del medical drama, posasse il suo tocco magico sulla produzione letteraria di Jane Austen perché il mondo trovasse un nuovo sex symbol e soprattutto che si ritornasse a parlare del fascino della crinolina sullo schermo.

Il sex symbol è il duca di Hastings (un sex symbol in perfetta accordo con questi tempi di inclusività), ovvero Regè – Jean Page il protagonista maschile dell’ultima idea partorita dalla mente della Rhimes. La crinolina è quella indossata dalle protagoniste femminili della saga di Bridgerton che ha sfiorato il record dei contatti Netflix nella prima giornata d’uscita sulla piattaforma e che ha fatto parlare di ritorno in grande stile delle storie in costume.

In realtà dal successo planetario di “Via col Vento” il fascino delle storie ambientate in altre epoche non è mai veramente tramontato. Correva l’anno 1939, il mondo era sull’orlo di una guerra che avrebbe segnato per sempre il vecchio continente e Rossella O’hara, la splendida Vivian Leigh dallo sguardo di gatta ma l’animo tormentato, si faceva torturare da Mami pur di indossare un corsetto che le donasse un vitino da vespa.

Se Coco Chanel nella vita vera liberava le donne dalla biancheria costrittiva dando vita ad una moda che non sarebbe mai passata di moda, Walter Plunkett – uno dei più famosi costumisti degli anni d’oro di Hollywood – realizzava i costumi del film più famoso della storia del cinema senza lesinare in metri e metri di seta e velluto. E’ entrato, infatti, nell’immaginario collettivo il velluto verde del vestito che Rossella ricava da una tenda per andare al primo incontro con Rhett Butler.

Dall’uscita di “Via col vento” sono passati più di ottant’anni, eppure gli spettatori ancora premiano le storie che li riportano indietro nel tempo. Uno dei film più visti del 2019, del resto, è stato “Piccole Donne” dal romanzo di Louis May Alcott per la regia della talentuosa Greta Gerwig. La storia delle quattro sorelle March, ovviamente ambientata nel pieno della guerra civile americana, ha richiesto decine e decine di costumi per i quali nel 2020 ha vinto l’Oscar la costumista britannica Jacqueline Durren.

La critica negli anni si è spesso divisa sui film in costume che per qualcuno non solo non rispecchierebbero affatto la realtà delle epoche che raccontano, ma anzi la mistificherebbero. Il realismo delle storie in costume è stato spesso e forse anche giustamente messo in discussione. Anche il più accurato e certosino dei lavori – pensiamo alla maniacalità di Luchino Visconti nella realizzazione de “Il Gattopardo” – non potrà mai restituire al 100% la verità del tempo, proprio perché siamo in un altro tempo.

E’ evidente, perciò, che i film in costume sono una reinterpretazione di un’epoca e che questa appare diversa a seconda del regista e del costumista che se ne occupano. L’Inghilterra di “Ragione e sentimento” di Ang Lee del 1996 è decisamente molto diversa da quella di “Orgoglio e pregiudizio” diretto da Joe Wright del 2005, eppure entrambi i film sono tratti da romanzi di Jane Austen e raccontano non solo di una stessa epoca ma anche di uno stesso luogo (il Sud dell’Inghilterra sul finire del Settecento).

La diversità sta appunto nella diversa reinterpretazione artistica che ne viene data e che da sola, per qualcuno, basterebbe a connotare i film in costume come falsi storici. A prescindere dall’accuratezza o meno della ricostruzione storica (sia per quanto riguarda la scenografia che i costumi) il pubblico, però, sembra premiare i film in costume.

Sarà che la vita reale spesso è troppo grigia e deludente per volerla vedere riproposta sul grande schermo esattamente così com’è; sarà che il cinema resta sempre e comunque uno dei più riusciti strumenti di intrattenimento e di evasione e che questi sono tali soprattutto se lo spettatore viene assorbito completamente dalla storia raccontata sul grande schermo; sarà che in ognuno di noi, in un angolo ben nascosto agli occhi degli altri, si nasconde un cavaliere o una principessa, quello che certo è che il fascino dei film in costume sta tutto nel fare sognare al grande pubblico di poter tornare indietro nel tempo. Scienziati, filosofi, scrittori e poeti hanno tutti sognato di poter viaggiare nel tempo senza ovviamente mai riuscirci. Questa “magia” riesce, però, in una sala buia, anche se solo per un paio d’ore. E’ la magia del cinema, una delle tante.

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