Divo straniero nel 1962 dalla rivista americana ‘Time’

Dici Marcello Mastroianni e nella mente appaiono tante immagini. Istantanee e video riguardanti la sua lunghissima carriera. Irripetibile. Da leggenda. Ottenne tre candidature all’Oscar come miglior attore per ‘Divorzio all’italiana’ (1963). ‘Una giornata particolare’ (1978) e ‘Oci Ciornie’ (1988). Ha vinto 2 Golden Globe, 2 Bafta, otto David di Donatello, 8 Nastri d’argento, 5 Globi d’Oro. A Cannes ha conquistato per due volte il premio come miglior interprete maschile, a Venezia, invece si è aggiudicato 2 Coppe Volpi e ha ricevuto nel 1990 il Leone d’Oro alla carriera.

Marcello Mastroianni, appunto. Difficile dimenticare uno come lui. Nasce a Fontana Liri il 28 settembre 1924. Suo padre, Ottorino Mastrojanni, fatica a trovare un lavoro fisso a causa del suo impegno antifascista. La sua famiglia si trasferisce per un breve periodo a Torino (dove nasce il piccolo Ruggero) e poi nel 1933 a Roma.

Nella capitale Marcello si diploma come perito edile, trova lavoro come contabile e si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio, anche se la sua aspirazione era quella di fare l’architetto. Così per realizzare il suo sogno cambia mestiere e diventa disegnatore presso il comune di Roma. Si avvicina al teatro frequentando il Centro Teatrale Universitario e conosce Giulietta Masina che in seguito lo presenta al marito Federico Fellini, con il quale forma uno straordinario sodalizio artistico e umano.

Esordisce sul palcoscenico unendosi alla compagnia teatrale Besozzi – Pola – Scandurra – Cei, che in seguito abbandona per entrare a far parte di quella di Luchino Visconti. Nel 1948 è in scena con ‘Un tram che si chiama desiderio’, e in breve tempo si afferma come uno dei più dotati attori della sua generazione. Debutta sul grande schermo nel 1947 con ‘I Miserabili’ di Riccardo Freda, anche se è già apparso al cinema in diversi film (Marionette, 1938 di Carmine Gallone; La corona di ferro, 1941 di Alessandro Blasetti; I bambini ci guardano, 1942 di Vittorio De Sica).

L’origine ciociara si mescola a collaterali modelli di formazione nella capitale, in sintonia con tutto un confluire di personaggi di provenienza ciociara nella cinematografia romana fra i quali si annoverano cineasti e attori quali i Bragaglia, Manfredi e De Sica.

Marcello dichiarò: “Ho lavorato con De Sica prima di interpretare film sotto la sua regia. Ho avuto sempre con lui un rapporto molto affettuoso, un po’ al di fuori di quella che è la professione. Lo guardavo come uno zio, non sono mai riuscito a dargli del tu, mentre lui mi dava del tu. Era un rapporto, oserei dire, quasi di parentela, forse per via della stessa origine ciociara, quindi era una persona a cui volevo bene, per la quale sentivo molto affetto. A parte l’ammirazione per il regista, c’era un legame che era al di fuori del cinema, associati a fatti proprio adolescenziali; e poi lui aveva questo fisico, questa testa bianca da parente suggestivo, leggendario, uno zio importante”.

Durante la sua prima fase cinematografica Mastroianni interpreta personaggi bonari e simpatici, giovanotti coinvolti in movimentate avventure sentimentali e con ombre d’indolenza e di insicurezza. Il primo regista che lo scrittura è Luciano Emmer in ‘Domenica d’agosto’, ‘Parigi è sempre Parigi’ (1951) e ‘Le ragazze di piazza di Spagna (1952)’. Subito dopo Giuseppe De Santis gli procura la soddisfazione di ricevere il Nastro d’argento per la stagione 1954-1955 con Giorni d’amore, una favola dell’epoca, dove un povero contadino risolve brillantemente il suo desiderio di sposarsi.

Ma è il regista Alessandro Blasetti a dargli il grande successo di pubblico: ne saggia dapprima le doti nell’episodio ‘Il pupo’ (da un racconto di Moravia, con Lea Padovani), forse il migliore di ‘Tempi Nostri’ (1953), e subito dopo ne fa il protagonista, Paolo, di ‘Peccato che sia una canaglia’ (1955), accanto a Sophia Loren.

Apatico, buono e mite, nemico delle complicazioni, il personaggio di Paolo, autista romano di taxi, si attaglia perfettamente a Marcello Mastroianni (che vinse la Grolla d’Oro di Saint-Vincent per questa interpretazione), bravissimo nel sincronizzare i propri toni dimessi con quelli esuberanti, aggressivi e scanzonati di Sophia Loren nei panni della ladra Lina, che sconvolge la sua esistenza. E’ un accoppiata felice, su cui Alessandro Blasetti insiste per ‘La fortuna di essere donna’ (1955), briosa vicenda di un fotografo impegnato a distogliere l’amata dalla pericolosa illusione di diventare una stella dello schermo.

Altri registi invece vedono in Mastroianni opposte qualità e gli affidano personaggi più complessi, dimostrandone anche nel cinema la versatilità che in teatro lo aveva fatto essere tanto Kowalski quanto ‘Il Cavaliere di Ripafratta’: Claudio Gora in ‘Febbre da vivere’ (1953), Carlo Lizzani in ‘Cronache di povere amanti’ (1954), dal romanzo di Vasco Pratolini, Visconti nelle Notti bianche (1957), dal racconto di Dostoevskij.

In quest’ultimo film, da lui stesso prodotto in associazione col regista, la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico e il produttore Francesco Cristaldi, egli scopre un personaggio, il sognatore Mario, in sintonia coi propri caratteri interiori: “Non mi è stato mai difficile capirlo. Forse per un’origine simile, un certo provincialismo, il compiacimento per la fantasticheria. Forse per la sua semplicità, il suo amare non riamato. Era simile a me”.

Il mutamento determinato dall’incontro con Fellini, con ‘La dolce vita’, Mastroianni si rende conto di avere nelle sue carenze e nelle sue debolezze umane la base per i ruoli più complessi e moderni. Fellini ,appunto, lo aiuta ad accettarsi cosi com’è e a trarre dalla propria verità dei personaggi
Marcello, il cinico giornalista privo di carattere della Dolce vita; Guido, il regista in crisi in ‘Otto e mezzo’ (1963); e molti anni dopo, Snàporaz, il maschio tribolato da erotiche fantasie della ‘Città delle donne’ (1980), sono il risultato di questa operazione psicanalitica che coinvolge l’attore insieme con l’autore.

Con La Dolce vita Marcello Mastroianni capisce in quale direzione deve muoversi e fa un deciso salto qualitativo Ripudia il cliché del ragazzone sprovveduto e romantico per impegnarsi in una ricerca che tende ad esprimere, talvolta il difficile strumento dell’autoironia, le inquietudini ,le incertezze, le insoddisfazioni, le alienazioni dell’ uomo contemporaneo svariando dal drammatico al satirico e al grottesco.

Ha ormai un successo internazionale, presto rafforzata dalla candidatura all’Oscar per Divorzio all’italiana realizzato nel 1961 da Pietro Germi (che una seconda candidatura gli verrà nel 1978 da ‘Una giornata particolare’ di Ettore Scola). Sul mercato la sua quotazione insegue da vicino quella di Alberto Sordi.

Nel 1950 si unisce in matrimonio con l’attrice Flora Clarabella e l’anno seguente nasce la figlia Barbara. Nonostante non abbia mai divorziato dalla moglie, che resta tale fino alla morte dell’attore. I rotocalchi ne consacrano la popolarità tentando di accreditargli una vita sentimentale e roventi avventure amorose con le sue compagne di lavoro: Brigitte Bardot all’epoca di Vita privata (1962) di Louis Malle, Faye Dunaway all’epoca di Amanti (1968) di Vittorio De Sica. Con Dunaway Marcello ha una tormentata storia d’amore durata due anni.

Nel 1971 incontra a Parigi l’attrice francese Catherine Deneuve. I due vivono insieme fino al 1974 e dalla loro unione nasce una figlia, Chiara (anche lei attrice). L’ultima lunga relazione è con la regista italiana Anna Maria Tatò, autrice nel 1996 del film documento Marcello Mastroianni, mi ricordo, si io mi ricordo, uscito nelle sale nel 1997 dopo la morte dell’attore.

Nonostante l’enorme successo cinematografico, Marcello non abbandona mai del tutto il teatro, nel 1966 torna sul palcoscenico con la commedia musicale di Garinei e Giovannini Ciao Rudy, nel 1985 è a Parigi diretto da Peter Brook e dieci anni dopo gira l’Italia portando in diversi teatri portando in scena Le ultime lune, una commedia sulla vecchiaia di Furio Bordon con cui riscuote gli ultimi successi prima di morire. Un tirocinio sul palcoscenico, una coscienza esplicita del valore artistico e culturale del teatro e delle sue leggi di rappresentazione.

L’attore cinematografico, affermava Mastroianni: “Non recita con tutto il corpo, al cinema; a teatro sì“. Mastroianni predilige una visione dell’arte della recitazione come arte che a livello di espressività e comunicazione
sia integrale: fisica, anche corporea, tale che solo sulla scena può realizzarsi. In definitiva la preferenza data al teatro per il privilegio che solo il teatro concede alla totalità espressiva del corpo, ma nello stesso tempo il tributo alla magia del cinema che allarga infinitamente la possibilità dei ruoli eseguibili. Non solo la magia, ma anche il gioco tanto caro a Mastroianni, trae origine da questo dato strutturale di fondo, e l’aver
percepito tutto il valore di gioco dell’atto cinematografico ha comportato, oltre l’affermazione di personali e particolari scelte estetico-interpretative.

Al cinema alle volte gli affidano ruoli non congeniali, la sola presenza di Marcello non basta per l’effettiva riuscita di alcuni film. Non si trova nei meccanismi della crisi vissuta dallo scrittore Giovanni Pontano nel film ‘Notte’ (1961) di Michelangelo Antonioni, oppure nella tragicità della ribellione vana e disperata di Mersault nello ‘Straniero’ (1967), che
il suo antico maestro Luchino Visconti ha tratto dall’omonimo romanzo di Albert Camus; oppure nell’ambiguità malapartiana del protagonista della Pelle (1981) di Liliana Cavani.

Sono questi alcuni personaggi che di Marcello Mastroianni svelano certi limiti, specialmente quando la carica interiore più che col gesto e con la parola deve esprimersi con gli occhi. Meglio gli riescono quelli in cui prevale una particolare caratterizzazione, come del resto riconobbe in una lezione-dibattito all’Accademia d’arte drammatica: “Permesso che non mi considero affatto un artista” disse in quell’occasione “Non c’è nulla di più eccitante della caratterizzazione , mentre nel teatro bastano la figura e la dizione. E’ nei caratteri che si vede la genialità dell’attore cinematografico”.

Dal tempo della Dolce vita la maggior parte delle sue interpretazioni più significative, e sono molte, sono il frutto di un accurato studio di composizione in varie chiavi: il patetico grande amatore imponente del Bell’Antonio (1960) di Mauro Bolognini, al quale può ricongiungersi per certi aspetti il galante e spaesato Andrea di Casanova ‘70 (1965) di Mario
Monicelli; l’astuto e maniacale barone Cefalù di Divorzio all’italiana di Pietro Germi; il folle muratore tra farsa e tragedia in Dramma della gelosia: tutti i particolari in cronaca (190) di Ettore Scola; il traditore Imbriani di
Allonsanfan (1974) di Paolo e Vittorio Taviani; lo sfuggente Don Gaetano di ‘Todo Modo’ (1976) di Elio Petri; il tormentato antifascista omosessuale di ‘Una giornata in particolare’ di Ettore Scola, i personaggi dei film di Marco
Ferreri, nel cui acre e corrosivo umorismo si muove a suo agio, La cagna (1972), ‘La grande abbuffata’ (1973), ‘Non toccare la donna bianca’ (1974), ‘Ciao maschio’ (1978).

Versatilità dell’artista nella capacità di essere l’interprete ideale per due autori così diversi come Fellini e Ferreri sta appunto la migliore dimostrazione di quanto vasta possa essere la gamma delle risorse di Mastroianni. E se tra gli oltre 100 film della sua carriera numerose sono le concessioni commerciali, non mancano esempi di scelte rischiose. Cauto,
invece, è sempre stato nell’accettare offerte di cinematografie straniere.

Ha rifiutato ostinatamente quelle di Hollywood, propiziate dalle candidature all’Oscar, per le difficoltà di recitare in una lingua non sua e per il timore di affrontare metodi di lavoro diversi. Comunque, le poche volte che si è lasciato convincere, non gli è andata bene. Se l’è appena cavata con ‘Vita privata’ di Malle e Leone ultimo (1970) di John Boorman, ma ha fatto un trionfo col frivolo Diamanti a colazione (1968) del britannico Christopher Morahan. In tanta attività egli però recrimina soltanto che nessuno abbia mai pensato di fargli interpretare “l’Oblomov” di Goncarov, un personaggio nei cui tratti psicologici dice di riconoscersi completamente.

Mastroianni dichiarò:“Recitare è un piacere, è una grande emozione. Perché uno fantastica, racconta delle fiabe, a volte divertenti, a volte tragiche – ma non essendo mai veramente coinvolto. Recitare è un atto d’amore verso la creatura/personaggio nella quale ci si trasforma sul palcoscenico o sul set.” Nella sua carriera ha interpretato ruoli in generi diversi: dalla commedia sentimentale al dramma, dalla satira di costume
al film storico fino ad arrivare al grottesco e al surreale sapendo interpretare con sublime maestria la sua professione a livello internazionale.

Ci lasciò il 19 dicembre del 1996 a causa di un male incurabile nella città di Parigi. La sua scomparsa, come è capitato ad altri grandissimi dopo lui, ha lasciato un vuoto incolmabile, difficile da riempire nel mondo della settima arte.




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