MAG 30, 2020

In un famoso film di Alan Parker del 1988, ‘Mississippi Burning – Le radici dell’odio’, Gene Hackman, nei panni di uno dei personaggi principali, recita ironicamente una battuta: ‘In quale stato bisogna mettere indietro le lancette di un secolo? Nel Mississippi’. Una domanda e risposta, dunque, su uno dei 50 Stati rimasti ancora all’epoca della segregazione razziale. Il film ripercorreva le fasi delle indagini, svolte da due agenti federali, sul brutale assassinio avvenuto il 21 giugno del 1964, commesso da alcuni componenti del Ku Klux Klan, di tre ragazzi dei diritti civili, di cui uno era afroamericano.

Da quella data molte cose sono mutate e molte cose stavano già iniziando a cambiare per la comunità nera; grazie al loro spirito ribelle e dopo tante vessazioni subite riuscirono nell’intento di far udire la loro voce, a partire dal 1° dicembre del 1955 ad oggi, conquistando molte vittorie significative. Vittorie che parevano mettere, anno dopo anno, una pietra tombale sul ‘peccato originale’, come lo ha definito Joe Biden, della storia americana e, quindi, a porre fine ad un incubo iniziato con l’arrivo dei primi schiavi dall’Africa per poi arrivare alla storica elezione del primo Presidente degli Stati Uniti afroamericano, Barack Obama.

Durante i suoi due mandati, stranamente e tenendo ampiamente fede alla natura contraddittoria della società americana, la frattura tra le due comunità, bianca e nera, non si è per nulla composta, ma bensì acuita. Colpa sua? Colpa della storia? Colpa di quel ‘peccato originale’ menzionato in precedenza e che lacera, ritornando ogni volta prepotentemente, colpendo duramente, come un macigno, su quell’idea stessa di Paese, su quell’idea di multiculturalismo e idea di integrazione.

George Floyd, soffocato da un bianco razzista (anche se l’autopsia affermerebbe diversamente: ovvero gli effetti combinati dell’essere bloccato dalla polizia, le sue preesistenti condizioni di salute, come ipertensione e problemi coronarici, e potenziali sostanze tossiche hanno contribuito alla sua morte) che con la divisa da poliziotto getta fango sull’intero corpo delle forze dell’ordine a cui appartiene, non sarà l’ultimo di questa lunga ed interminabile lista di morti senza senso. Il suo nome, anzi, la sua morte ci riporta indietro nel tempo, al 3 marzo del 1991: al pestaggio da parte di quattro poliziotti bianchi nei confronti di Rodney King. Furono incriminati, ma assolti e nella città degli angeli scoppiò una rivolta durata per ben quattro giorni nel 1992.

Due anni più tardi per evitare un’altra rivolta, l’ex campione di Football Orenthal James Simpson venne assolto dall’accusa di aver massacrato la sua ex moglie e il suo compagno, la notte del 12 giugno del 1994. Memorabile la sua fuga immortalata dalle telecamere della Cnn del 17 giugno dello stesso anno. In quel caso furono i neri ad avere la meglio.

Ma il 12 giugno è tristemente famoso, negli Stati Uniti d’America, per un ulteriore fatto di sangue legato al razzismo: esattamente tra l’11 ed il 12 giugno del 1963 un attivista nero dei diritti civili, Medgar Evers, durante il discorso alla nazione dell’allora Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, venne raggiunto alla schiena da una fucilata da un fanatico razzista mentre rientrava a casa. Erano i mitici anni ’60, erano gli anni del maledetto conflitto in Viet-Nam, erano gli anni delle rivolte, sia pacifiche che violente. Kennedy, in quell’occasione, sostenne che “l’essere un nero negli Stati Uniti d’America non era facile e che queste problematiche non devono trovare soluzione per le strade, ma dentro alle aule dei tribunali”.

I nomi delle vittime sono tante da ricordare; troppi. Non bisogna dimenticare le vittorie che sono state ottenute: come quella storica, con quella leggendaria marcia per il diritto di voto, in quei giorni di marzo del 1965, da Montgomery a Selma ad opera del pastore protestante Martin Luther King. Il reverendo, qualche anno prima, il 28 agosto del 1963, entrò di diritto nella storia con il suo discorso ‘I Have dream’; discorso che gli valse l’anno successivo il premio Nobel per la pace. Venne assassinato quattro anni più tardi il 4 aprile del 1968 a Memphis, nel Tennesse. Come nemmeno bisogna dimenticare, ed equivarrebbe un vero delitto farlo, che anche i bianchi hanno permesso il raggiungimento di questi straordinari risultati: i due fratelli Kennedy; il controverso Presidente Lyndon Johnson e, addirittura, il repubblicano e conservatore Presidente Ronald Reagan, il quale istituì il ‘Martin Luther King Day’. Menzionando, ed è giusto farlo, anche il Presidente che abolì la schiavitù negli Stati Uniti d’America, non un democratico ma un repubblicano, Abraham Lincoln.

Certo, si voleva inaugurare la rubrica dedicata interamente agli Stati Uniti d’America in un modo totalmente differente; la cronaca pressante delle ultime ore ha influito molto sulla scelta del tema con cui aprire lo spazio ‘Usa’, spingendo il blog di non stare in disparte e di gettarsi nella mischia, inaugurando contemporaneamente anche l’altra rubrica ‘Parole schiette’, schierandosi a favore dei neri che protestano, schierandosi a favore di tutti i poliziotti onesti, schierandosi a favore di tutti coloro che credono nei veri ideali di giustizia. Crocifiggere un intero Paese per colpa dei fanatici non è mai sintomo d’intelligenza e di lungimiranza; precisando, oltretutto, che in mezzo alle proteste non ci sono solo afroamericani, ma anche bianchi.

Le notizie delle ultime ore riportano l’arresto del poliziotto che ha provocato la morte di George Floyd; durante gli scontri un poliziotto ed un diciannovenne sono stati uccisi in due diverse città americane. La guerriglia non c’è solamente a Minneapolis, altri grossi focolai di roventi proteste si sono propagate anche in altre città.

In tutto questo, gli Stati Uniti d’America, si ritrovano uno comandante in capo completamente sprovvisto di quel senso morale che serve a qualsiasi Presidente di calmare sul serio gli animi. Tanto è che nelle ore precedenti la Casa Bianca è stata messa in lockdown per evitare l’assalto di alcuni manifestanti. Al di là delle parole o delle frasi che possono essere fraintese o comunque strumentalizzate, alcune sue uscite servono solo ad alimentare quelle ‘radici dell’odio’ che non solo riportarono il Mississippi indietro di un secolo, ma rischiano attualmente di riportare indietro nel tempo anche l’intera nazione.

Molti sui social nel mondo, ed in particolare in Italia, sono giustamente indignati per quanto sta succedendo negli Stati Uniti d’America; ma alcuni di loro postano frasi o immagini solo contro l’America invocando i diritti civili, dimenticando non si sa quanto volutamente, quello che sta succedendo ad Hong Kong. Quest’altro fronte caldo verrà affrontato la settimana prossima tra le due rubriche ‘Usa’ e ‘Parole Schiette’.

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