Oltre 135 morti e 5000 feriti. 2750 tonnellate di esplosivo. Sono questi i terribili numeri della tremenda deflagrazione, simile a quella di Hiroshima, avvenuta l’altro ieri, verso le 17.00, che ha colpito il porto di Beirut, estendendosi mediante l’onda d’urto per alcuni quartieri della capitale libanese. Attualmente gli autori sono ancora del tutto sconosciuti e ancora non si è intuito se si tratta di un incidente, poco credibile, oppure un vile attentato. Nei momenti successivi all’esplosione si era fatta strada l’ipotesi che a scoppiare siano stati dei semplici fuochi d’artificio. Ma dalle immagini si intuisce che si tratta di qualcosa di più.

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, come prima reazione, aveva dichiarato che quello che era successo nel porto di Beirut era il frutto di uno spaventoso attentato. Qualche ora più tardi verrà smentito dallo stesso Pentagono. Altra ipotesi ufficiale, ma che non convince, sarebbe quella della presenza di nitrato di ammonio. Tutto ruoterebbe intorno alla presenza di esplosivo.

Il risultato della terribile onda d’urto è: macchine volate come foglie, palazzi sventrati e ben cinque strutture ospedaliere fuori uso, di cui tre completamente distrutte e altre due danneggiate. Ancora: oltre 100 dispersi e 300.000 senza casa. Il Premier Hassan Diab ha dichiarato lo stato d’emergenza per due settimane e tre giorni di lutto e, inoltre, ha fatto arrestare i funzionari incaricati sulla vigilanza esploso; mentre il Ministro della Salute Hamad Hasan ha invitato chiunque, chi può ad allontanarsi dalla capitale; anche se la tossicità nell’aria è diminuita della metà rispetto alle ore precedenti.

Gli aiuti umanitari stanno arrivando da ogni parte del mondo: dagli Stati Uniti d’America, dalla Russia, dal nemico giurato Israele, dalla Turchia, dall’Italia, dalla Germania, dalla Francia con Macron che proprio oggi si recherà a Beirut e anche dalla Gran Bretagna.

Quella del Libano non è una situazione semplice. Dopo questo evento è diventata ancor più drammatica. Non bastava la crisi economica, che aveva già tagliato la fornitura di energia elettrica, causata dalla corruzione e le annose divisioni sociali della popolazione. Il porto di Beirut non è un luogo qualsiasi. Era il vero centro di smistamento di ogni tipo di bene utile per la sopravvivenza. Con questo atto si teme, a questo punto, purtroppo, una nuova guerra civile., forse ancor peggior di quella durata per ben quindici lunghi anni che andarono dal 1975 al 1990. Tra i feriti c’è un militare italiano, fortunatamente non in modo grave.

Seppur la pista dell’incidente tiene ancora banco in queste ore, la strana coincidenza del processo per l’attentato che uccise il Primo Ministro Libanese, il 14 febbraio del 2005, sembra farsi sempre più spazio. La data dell’udienza è stata rinviata al prossimo 18 agosto. Forse si teme un ritorno della sfera d’influenza di Assad?

Frattanto Danilo Coppe, uno dei massimi esperti di esplosivo in Italia, dichiara, sui vari notiziari e quotidiani, che quello che è successo martedì a Beirut non è frutto né di fuochi d’artificio e né di nitrato di ammonio, ma sarebbe il frutto di un probabile accantonamento temporaneo di armamenti.

La pista del nitrato d’ammonio sembra trovare ugualmente spazio per un’ulteriore coincidenza. Il carico del materiale menzionato sarebbe giunto grazie ad una nave russa, con bandiera moldava, e stoccato nell’hangar 12 del porto come soluzione temporanea. Mentre la pista dei fuochi d’artificio è relativa per la presenza di una piccola fabbrica di fuochi pirotecnici.

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