In questo quarto appuntamento del mese di giugno, l’ottavo da quando la rubrica ‘Storie vere’ è stata inaugurata lo scorso 18 maggio, la ‘storia vera’ che andiamo ad analizzare in questo articolo e, semmai anche a ricordare, non è legata ad un’opera sul grande schermo ma direttamente in televisione. Non si tratta, però, di un film per la tv ma di una serie televisiva, antologica, e di cui la prima stagione ha trattato uno dei casi più spinosi degli Stati Uniti d’America. Un caso giudiziario che in una sola volta comprende non solo il lato oscuro delle celebrità hollywoodiane, provenienti dal mondo sportivo, con l’irrisolvibile questione razziale.

Il titolo della serie è “American crime Story” e, ideata da Ryan Murphy, rappresenta uno spin-off di “American Horror Story”. Nella stagione inaugurale, andata in onda dal 2 Febbraio al 5 aprile del 2016, negli Stati Uniti, mentre da noi dal 6 Aprile all’8 giugno del 2016, e composta da soli dieci episodi, viene ricostruito il caso giudiziario di Orenthal James Simpson; leggenda del football americano, prima, e attore, poi. Il cast è formato da interpreti di prim’ordine, come: Cuba Gooding Jr, Sarah Poulson, Bruce Grennwood, John Travolta, David Schwimmer e Malcom Jamal Warner.

Tutti diligentemente selezionati e truccati come i reali protagonisti della vicenda. Ogni episodio deve essere inteso come un singolo step del caso giudiziario, apertosi realmente il 12 giugno del 1994, ma con il suo culmine cinque giorni più tardi. Nel pomeriggio del 17 giugno del 1994, quando O. J. Simpson si rende protagonista di quella famosa fuga lungo le autostrade interne della città di Los Angeles. La parola fine venne decretata il 12 febbraio del 1995 con la sentenza di assoluzione di Simpson dall’accusa di duplice omicidio.

Nella ricostruzione dei fatti nulla è stato lasciato al caso, nulla è stato romanzato; la questione razziale emerge non subito, anzi fu una trovata di uno degli avvocati dell’ex giocatore di football, Robert Shapiro, interpretato da John Travolta. In realtà fin dall’origine la vicenda giudiziaria non doveva assumere, in alcun modo, i connotati di una disputa razziale, ma un po’ la furbizia del legale menzionato e i pesanti precedenti che la stessa città degli angeli in quegli aveva subito, dal pestaggio di Rodney King del 3 marzo 1991, alla rivolta di Los Angeles nel 1992, fecero il resto.

I dieci episodi prodotti fungono da singole parti di un lungo film, di una lunga storia con un taglio decisamente cinematografico. La cronaca è adeguatamente miscelata alla fiction e viceversa; il grado di recitazione è molto alto ed appare arduo decidere chi sia stato il migliore, eppure qualche nome sarebbe bene farlo. Hanno spiccato su tutti: David Schwimmer, nella parte dell’avvocato di O.J.; nella sua performance, totalmente differente rispetto ai canoni ai quali ci aveva abituato in un’altra serie televisiva ‘Friends’. Molto espressivo. Un altro nome che sembra giusto non dimenticare, non per par condicio, ma perché se lo merita è l’attrice Sarah Poulson, nel ruolo del Procuratore Distrettuale Marcia Clarke.

Definire questa serie un capolavoro assoluto non è velleitario, a distanza di anni inizia ad invecchiare bene. All’interno della trama ricostruisce la sconfitta del ‘political correct’ ai danni di persone innocenti, per davvero, con lo scopo di evitare un’ennesima rivolta per le strade di Los Angeles. Tutta questa situazione è il frutto di quel ‘peccato originale’, come lo ha definito l’attuale candidato alla presidenza Joe Biden, che sta lacerando sempre più la società americana. Gli errori dell’accusa, l’astuzia della difesa, l’incapacità del giudice di gestire il procedimento penale sono elementi che, nella vicenda stessa, diventano incredibilmente marginali.

Nei dieci episodi sono molte le scene chiave che mettono comunque a nudo tutti questi elementi indicati. La beffa finale e accompagnata dalla mitica ‘Ain’t no sunshine’ di Bill Withers, ponendo l’accento, comunque, sulla sconfitta di un’icona nazionale. ‘American crime Story’ è di fatto un grande romanzo visivo, tra cronaca e fiction; un grande ‘romanzo’ della memoria americana.

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