‘Ma il cielo è sempre più blu’ di Rino Gaetano, in questo 2025, ha compiuto i suoi 50 anni

Ad aprire la settimana ci pensa lui. Si, in effetti non abbiamo mai e poi mai inaugurato un articolo o un appuntamento della rubrica ‘La Canzone del Lunedì’ senza troppi giri di parole. Ma com’è che si dice? C’è sempre una prima volta e ci fa piacere, oltre che ad essere onorati, ad usare questa frase per quello che doveva essere un omaggio pubblicato già qualche settimana prima; per non dire oltre un mese fa, per un eroe della musica tutta nostrana e della musica di un tempo che fu.

L’intenzione, inizialmente, era quella di ricordarlo nel giorno più triste del suo percorso esistenziale, ma sinceramente, oltre ad essere la Festa della Nostra Repubblica, non ci sentivamo di celebrarlo in quello che sarebbe stato l’anniversario più malinconico da ricordare, ovvero: la sua stessa scomparsa, avvenuta proprio la notte del 2 giugno del 1981 a causa di un tragico e, ancora oggi misterioso, incidente stradale.

Se ne andò così il mai dimenticato Rino Gaetano, le cui canzoni sono ormai scolpite da tempo e fin dal momento della pubblicazione, nella storia della musica nostrana, soprattutto quella che vi faremo ascoltare questa mattina. Un brano corale e la cui durata spinse lo stesso autore e cantante calabrese, esattamente di Crotone, a dividere la sua opera migliore in due parti, pubblicate nei rispettivi lati di quello che un tempo erano conosciuto come quarantacinque giri; il longo play in miniatura per essere precisi.

Da allora sono trascorsi cinque lunghi decenni ma la voglia di cantarla, di intonarla e anche, perché no, realizzare delle piccole parodie improvvisate su ‘Ma il cielo è sempre più blu’ non si è mai e poi mai sopita; senza nemmeno dimenticare anche le singole cover prodotte sempre nel corso di questi lunghi anni. Secondo le cronache musicali dell’epoca la hit sarebbe uscita il 30 maggio del 1975, in modo tale da trasformarla, forse, anche in un possibile tormentone estivo.

Come tutti sanno le previsioni furono di gran lunga superate. Oltrepassò la barriera temporale non solo di quell’estate, non solo di quel 1975. Lo stesso Rino Gaetano, nonostante la sfortuna di andarsene troppo presto, lasciando un vuoto davvero incolmabile nell’industria musicale italiana, ebbe comunque la fortuna di vedere una primissima parte di quel successo che la stessa sua opera, scaturita dalle sette note, stava ottenendo in quei sei anni.

Ma a questo punto come nacque l’idea? che cosa ispirò al leggendario talento calabrese l’intenzione di sviluppare un testo musicale così semplice e, allo stesso tempo, che entrasse fin da subito nel cuore degli italiani? Anzi, che entrasse nel cuore di generazioni di italiani. La leggenda vuole che lo stesso cantante, forse in un momento di pausa o forse durante una sessione di registrazione, compose il brano solo con la chitarra.

Notando che con la sola versione acustica non sarebbe andato lontano, Rino chiese supporto al tastierista del gruppo di genere progressive Pierrot Lunaire, Arturo Stalteri. Quest’ultimo, una volta ascoltata la prima e rudimentale versione del cantante calabrese lo aiutò componendo, a sua volta ed in maniera del tutto istintiva, un giro armonico in pianoforte che, dallo stesso cantautore calabrese, venne addirittura promosso.

Infatti, Stalteri era convinto di aver realizzato solo una prima ipotesi di apertura della futura canzone. Fu lo stesso Rino Gaetano che gli disse che andava bene così ed ebbe ragione. Infatti, i primi accordi di pianoforte suonati proprio dallo stesso Stalteri divennero, ulteriormente, un marchio di fabbrica indistinguibile tra chi ha ascoltato la canzone più volte in tutti questi anni.

Nonostante il successo, il brano venne persino censurato per due frasi o comunque due versi che, a quei tempi, non potevano essere in alcun modo diffuse. Frasi come: Chi tira la bomba/chi nasconde la mano e Chi canta Baglioni/Chi rompe i coglioni. Soltanto nella prima parte, quella di 4 minuti e mezzo, all’interno del testo, si possono contare ben 80 ‘chi’.

Di genere Pop, la canzone in ben 8 minuti e 23 secondi, chiaramente suddivisa quasi equamente ambo i lati del disco, riesce a catturare non uno o due personaggi; non un gruppo di persone o addirittura una categoria di persone, ma l’intera società con i suoi sogni, con le sue illusioni rappresentati, tra quei continui ‘chi’ a metà strada tra malinconia, per quello che poteva essere e la speranza, per quello che può ancora essere.

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